Si spera ardentemente nella fine della lagna. Dicono che venerdì o sabato ci sarà il giuramento di un nuovo governo. Lo dirige un tipo così autorevole da mettere d’accordo quasi tutti, e anche chi non è d’accordo sulla formula (per fortuna ci sono anche quelli) lo rispetta. Sottratto agli studi e lanciato nell’arena dello stato da Guido Carli, compianto governatore di Bankitalia, ministro del Tesoro nei governi Andreotti al fianco di Pomicino, capo della Confindustria, il professor Draghi non è un marziano venuto dalla finanza o dall’Europa delle banche, è un fior di civil servant italiano, un profondo conoscitore dell’economia e della politica, un uomo freddo e ragionevole, riservato e all’occasione molto esplicito, uno che conosce i tempi dell’azione, il contesto, e ha saputo destreggiarsi sempre molto bene, con ovvii su e giù, alti e bassi, nel labirinto del potere. Se i suoi strumenti prevalenti sono i numeri e la tecnica, i suoi incarichi che hanno fatto cronaca e storia con un decisionismo discreto e ferrigno sono arrivati in situazioni politiche intricate, e come frutto di spinte politiche decisamente illuminate, basti citare il nome di Ciampi. Un paio di volte, e che volte, ci ha messo lo zampino Berlusconi, il Cav., sì, proprio lui, quello della lap dance e della condanna risibile per evasione fiscale. Con quel profilo da gesuita del Cinquecento, definizione dell’Economist, il nuovo capo del governo è un pezzo pregiato della classe dirigente di questo paese, uno che dà del tu al sistema europeo degli stati come Ibrahimovic al pallone.
Conte è stato un outsider, modesto ma efficace quando è arrivato un virus ad alta letalità e quando a Bruxelles, a Parigi, a Berlino, si sono dovute tirare le somme del whatever it takes pronunciato nel luglio del 2012 dal suo successore; ha avviato con il suo Bis antisalviniano, antipopulista e europeo, lui che era stato il vice dei vice di un esecutivo sperimentale di rottura sovranista presto seppellito dal peso della realtà, il passaggio che ora si vede nella trasfigurazione del senatore ex Truce e nelle gite romane di Beppe Grillo. Anche se sarebbe stolto non riconoscere alla coalizione uscente di aver lavorato incisivamente per risultati straordinariamente importanti, con il rigorismo antivirale e l’europeismo a prova di bomba, mentre dall’opposizione venivano irrisioni e spallate senza alcuna forza d’urto, nella loro litigiosità inconcludente tutti i partiti hanno perso, ma non sono nelle mani di un Caudillo dei poteri forti. Grazie a un presidente di cultura democristiana classica affidano un mandato pieno e difficilmente revocabile a un uomo di mondo e di sistema che non viene dalla luna. Che cosa si vuole di più dalla vita?
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