Sindacalista con la pipa, faccia severa e giacca a quadretti, alla Luciano Lama. Un’estetica anni Settanta, popolare-burocratica, da manifestazione dei lavoratori o da sezione di partito, che non ha abbandonato mai, nemmeno da presidente del Senato, e che sarebbe stato meraviglioso vedere al Quirinale. Un gusto ruvido e concreto della politica e dei rapporti umani, da montanaro abruzzese (era stato anche tenente degli alpini, e ne era orgogliosissimo), che emergeva pure dal modo di parlare e di scherzare, dal tono della voce e da come muoveva gli occhi, quegli occhi chiari, rapidi e furbi, che sembravano sempre dirti: “Penserai mica di fregarmi?”. Franco Marini è stato probabilmente l’uomo che ha avuto il peso maggiore, se non proprio nella scelta di fondare il Partito democratico, nel come e nel quando farlo, insieme certamente con Romano Prodi e Massimo D’Alema, con il quale costruì un asse solidissimo perché fondato sulla consapevolezza del tradimento già consumato – da D’Alema, ovviamente – nel 1999.
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