Draghi è nelle condizioni per fare le cose meglio di chiunque altro, non sono chiari invece incisività, profondità e capacità di stimolo e disciplinamento della sua azione. Ottimisti, ma serviranno miracoli
Quella di Draghi sarà un’apoteosi, roba difficile da maneggiare. Quali indicazioni abbiamo, prima della decisiva lista dei ministri e dell’altrettanto decisivo discorso del premier per la fiducia delle Camere? Il laconismo benedetto del presidente incaricato obbliga a giudicare i comportamenti. Con la missione e mandato definiti dal Quirinale, Draghi avrebbe potuto spicciarsi con le consultazioni, fare il governo e andare in Parlamento già una settimana fa (Monti giurò quattro giorni dopo le dimissioni di Berlusconi). La scelta dei tempi serrati avrebbe sottolineato l’emergenza e insieme l’autonomia da partiti e parti sociali, che ovviamente non esclude il rispetto e la ricerca del loro consenso (all’atto della fiducia Monti ebbe un larghissimo consenso, anche quella un’apoteosi). Un civil servant scelto per un esecutivo “che non rifletta alcuna formula politica” era pienamente autorizzato a questo. Invece Draghi, che come qui si dice da tempo ha un’anima politica anche nel suo intero, eccezionale curriculum di commis de l’état et de l’Europe, ha preso un’altra strada, consultando e ascoltando tutti, ma proprio tutti, fino al Wwf, in vari giri di incontri con partiti, gruppi parlamentari, società civile.
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