Che non abbia account sui social, lo abbiamo imparato quasi tutti, a parte qualche collega ossessionato dal “silenzio” come manco Don DeLillo. Mario Draghi ieri ha scelto come portavoce (ma non sarà l’unica nomina sulla comunicazione) Paola Ansuini, già a capo della comunicazione di Banca d’Italia e con grande esperienza internazionale. No “Grande Fratello”. La questione, dal punto di vista dello stile di governo, è risolta: contenuti vs spin. Si parla quando c’è un risultato o provvedimento da comunicare, non si rimbalzano le parole sulle parole. Forse l’ha intuito meglio l’opinione pubblica (61 per cento di consensi al premier). Per la stampa il cambio di paradigma potrebbe essere più lungo e complesso. Un “disguido” è una cosa trascurabile, ma se il disguido si affianca ad altri segnali rischia di somigliare a un lapsus. L’intervista vecchia di mesi di Renato Brunetta rilanciata dal Corriere della Sera e la rettifica arrivata con qualche lentezza (a “Otto e 1/2” hanno fatto in tempo a prenderla per buona) ne è un esempio. Perché si affianca a un’altra idea antipatizzante del Corriere, che lunedì ha rilanciato sui social un articolo di aprile 2020 con la vecchia storia di Walter Ricciardi ai tempi dei film con Mario Merola. Una non notizia già archiviata tra le futili, ma il rilancio ha fatto sì che lunedì sera la riprendesse il Tg3, in un ritrattino di Ricciardi urticante che si chiudeva sul film e i “moltissimi capelli fa”. Per una tv pubblica che nei due passati governi Conte è stata spesso corriva con la politica, l’alzata di ingegno di un corsivo abrasivo contro il consulente del ministro Speranza può significare tante cose: o non hanno capito che è cambiato il governo, o l’hanno capito molto bene. Del resto anche la gaffe del Tg1 che aveva tagliato la diretta del giuramento del governo è stata avvertita come uno scivolone istituzionale, dopo le ore d’attesa per le conferenze stampa di Conte. Se insomma Draghi non parla, certi tic dell’informazione sono molto sonori. Tornando ai giornali, è evidente che il gruppo di Urbano Cairo farà fatica a resettarsi in una modalità diversa da quella del giornale che lanciò “la casta” agli albori del grillismo. Ieri il quotidiano di Via Solferino insisteva con un pezzo di Gian Antonio Stella sugli eccessivi “osanna” riservati a Draghi e sottolineava la sponda tra il neo ministro Garavaglia e il governatore Fontana sulle piste da sci e il turismo. Aggiungiamo Lilli Gruber, recordwoman delle ospitate di giornalisti del Fatto, che ha steso un tappeto rosso per il libro dell’“ingegnere” Casalino come nemmeno Fabio Fazio con Barack Obama. Ora che le aziende e le élite del nord sono tornate al governo forse il Corriere inizierà una strategia dell’attenzione verso la Lega giorgettiana, ma prima dovrebbe iniziare a spiegare, innanzitutto a se stesso, che cosa è successo in questi anni in cui ha rinunciato ad essere la voce della borghesia imprenditoriale lombarda.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE