I contenuti seri e quelli meno seri. E poi lo stile, la posa, le riforme, gli orizzonti, le asticelle, gli specchi delle nostre identità (con chicche su De Gregori). Girotondo fogliante sul discorso del nuovo premier
Non solo 2026. Non solo 2030. Dice 2050!
Ipnotizzati dal pimpante rap renziano, presi a martellate dalla ciarpe salviniste, affatturati dall’inconcludente melodismo contiano. Ed ecco che in una mattina di febbraio cambia tutto, e il presidente che non abbiamo fatto nulla per meritarci epperò, incredibilmente, è lì, con la sua voce monocorde, suprema gravitas e nessuna propensione avanspettacolare, rifà il mondo sotto i nostri occhi. E reimposta tutto da capo: ridefinisce il palinsesto della politica italiana, incolla le pagine strappate (“l’unità non è un’opzione, ma un dovere”), ci regala il sollievo di una prosa cartesiana e consequenziale, ostile alle serpentine e nobilmente noiosetta, sbriciola il sovranismo (il mio intergruppo di ascolto su WhatsApp ha esultato con scompostezza poco draghiana quando il Nostro Compostissimo ha detto “Europeismo, Atlantismo, Democrazie Occidentali” – anche su “ancoraggi”: io mi sono entusiasmato anche su ancoraggi). E poi scuote le sensibilità farisaiche restituendo centralità alle donne e non ai discorsi sulle donne, accoppa la flat tax difendendo la progressività, ci ricorda che “ogni azione ha una conseguenza” osando visioni lunghe e larghe e correlate, e per definire l’identità parla sempre di “contesto” anziché agitare sbrindelli sovranardi. Laburista con disinvoltura, non fa l’avvocato di nessuno e il Pm men che meno, ci fa credere che si possa fare tutto ciò che dice e dice “cultura” tre volte, dice “doveri di cittadinanza” (quanto suona bene, dopo anni di sbronze da redditi da divano?), dice “welfare”, ma - soprattutto - dice 2050. Non solo 2026. Non solo 2030. Dice 2050. E illumina il discorso con una dimensione morale definita non da un moralismo di principio, ma dalla sua stessa prospettiva: sono i tempi lunghi che la determinano inevitabilmente. Però scivola sulle terapie intensive e fa un po’ l’Ambientalista per conto di Dio. Lo si perdona, anche perché parla con intelligenza di economia che non è solo moneta. Insomma, non son primule: dovrebbero fiorire.
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