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La banda degli onesti

Salvatore Merlo

Morra, Lezzi e gli altri espulsi M5s confidavano nella vacanza di potere per non essere cacciati

Espulsi. Morra, Lezzi, Lannutti, e un’altra decina. Deputati e senatori grillini. Hanno votano contro Draghi. Alle 13 alcuni di loro passeggiano alle spalle di Montecitorio. Tutti insieme. Occhi sgranati. Morra e Lezzi non credevano che sarebbe finita così. D’altra parte avevano in testa un piano geniale, secondo loro. Votare No a Draghi e candidarsi nella nuova segreteria grillina. Da puri. Quelli che non si compromettono. La banda degli onesti.

  

A mezzogiorno Nicola Morra avanza dondolante su via del vicariato, quasi di fronte al bar Giolitti, dieci metri dalla Camera. Un uomo di scorta lo precede. Uno lo segue. Morra era professore di filosofia alle superiori. Entrato in Parlamento in jeans e scarpe da tennis nel 2013, oggi è presidente dell’Antimafia. E indossa solo morbide giacche di cachemire. E qui un po’ si ha l’idea della parabola grillina. Però in una cosa non è cambiato: resta il cortese chiacchierone di sempre. “Non parlo”, dice. Però si ferma senza farsi pregare. E parla. Parla, Morra. “Alla fine scopriremo se il vero Movimento siamo noi o loro”. Vuole opporsi, dice. Lottare. Fare ricorso. Al Senato, per l’espulsione dal gruppo parlamentare. E anche in Tribunale, se dovessero espellerlo dal Movimento. “Il vero grillino sono io. Siamo noi”. E abbraccia con lo sguardo Elio Lannutti, il senatore, quello un po’ fissato con i protocolli dei Savi di Sion. Lannuti è impegnato in un’intervista con Radio Radicale. Da trenta minuti. Appena due anni fa urlava: “Radio Radicale va chiusa”. Ma i Radicali sono pacifisti e liberali, si sa. Senta, scusi, senatore Morra: ma è vero che Grillo ha solidarizzato con voi? Che le ha mandato un sms? “Non mi fate parlare”, allude. Ed è forse la prima volta in dieci anni di Senato che Nicola Morra non parla. In compenso parla Lannutti. Dice di avere “chiuso” con Grillo. Basta. “E dire che lo consigliavo da vent’anni”, aggiunge. Intanto però per strada, proprio in quel momento, passa Giuseppe d’Ippolito, l’avvocato di Grillo, lui sì da vent’anni: “Lannutti? Ma quando mai. Millanta”. Ecco. Però qualcosa succede, sul serio. Basta guardarli, anche Barbara Lezzi, la ex ministra del sud che voleva risollevare il pil italiano accendendo i condizionatori d’aria. Occhi bassi. Tra loro si mandano controvoglia uno spento sorriso di complicità che tuttavia cova un bagliore speciale, come andato a male.

 

Nei giorni scorsi s’erano riuniti. Ne avevano parlato a lungo. Anche Davide Casaleggio era della partita. Idea sopraffina: votare No alla fiducia, contare sull’interregno grillino, sul fatto che il capo politico scaduto non avrebbe potuto punirli, e poi: zac! Candidarsi su Rousseau alla guida del Movimento. Capi della corrente dei puri. Forse capi del partito. In pratica la banda degli onesti al potere. Lo scaltrissimo Casaleggio li aveva convinti e rassicurati: “Per l’associazione Rousseau Vito Crimi non è più leader”. E se non è leader, allora Crimi non può espellere nessuno. Fantastico. Sembrava fatta per Morra, per Lezzi e per tutti gli altri. Solo che ieri Crimi, che a quanto pare non è decaduto affatto come ha confermato Beppe Grillo, li ha espulsi. Tutti. In blocco. Vatti a fidare di Casaleggio. Vai a capire come diamine funziona il M5s, il partito più bislacco della storia della democrazia universale. Ma tant’è. E ora?, si sono chiesti Morra e Lezzi, sgranando gli occhi come le attrici del muto. Sguardi cosmici. Remoti. Tibetani. Così, passeggiando per le vie del centro, le chiacchiere degli espulsi si riempiono di discorsi dall’aria drammatica e vagabonda che esplodono in determinatissimi e oscuri propositi di guerra. Morra vuole fare ricorso in Tribunale. Pure a quello dei diritti dell’uomo, fosse necessario. Lannutti invece, vecchio volpone, uno che bada alla roba, suggerisce di fondare un nuovo gruppo parlamentare. Ha garantito di conoscere un amico suo che può risolvere tutto. Si chiama Ignazio Messina. E’ un avvocato palermitano proprietario del simbolo dell’Idv, l’ex partito di Antonio Di Pietro. Lannutti non è di primo pelo, diciamo. E il pelo ce l’ha pure sullo stomaco: con l’amico suo che porta il simbolo, e venti parlamentari, si fa un bel macello tra Senato e Camera. Ma proprio mentre gli espulsi sono immersi in questo tipo di conversazioni, ecco che su via del vicariato Morra viene quasi investito da un’automobile. Si scansa. Sguardo liquido. Battuta, bisogna ammetterlo, abbastanza pronta: “Grigia e anonima, dev’essere la macchina di Crimi”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.