Roma. Ci sono, certo, quelli che ha chiamato con sé. E sì che andranno tenuti d’occhio. Ma forse, per comprendere la centralità di Giancarlo Giorgetti nelle trame di questo governo, bisogna guardare innanzitutto a quelli che lui, la testa d’uovo del leghismo che vuole mondarsi la coscienza, ha dislocato lontano da quella via Veneto in cui opera e lavora. Daria Perrotta, ad esempio, era già pronta a seguire Giorgetti al Mise, riannodando i fili di una collaborazione che s’era interrotta con la crisi del Papeete. Si conoscono sin da inizio secolo: da quando, cioè, il bossiano di Cazzago Brabbia era presidente della commissione Bilancio della Camera e, tra i collaboratori del capo dei funzionari di quella commissione (cioè Daniele Cabras, ora consigliere di Sergio Mattarella) c’era appunto una giovane documentarista, che quindici anni dopo sarebbe diventata consigliera giuridica della ministra Maria Elena Boschi. Il tutto prima che Giorgetti, da sottosegretario alla Presidenza del Consigli, nel 2018 si ricordasse di lei e la chiamasse nel suo staff a Palazzo Chigi. Dove resterà, adesso, come capo di gabinetto di Roberto Garofoli, sottosegretario di Mario Draghi, garantendo a Giorgetti un canale di comunicazione diretto col Sancta Sanctorum del governo.
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