L’Infiltrato è piccolo piccolo, così deve essere la sua breve fenomenologia. Eccola. Salvini non capisce la politica. Sa solo dove va il vento provvisorio, e lo asseconda con parole immagini e comportamenti di basso conio, vicini alla sua rappresentazione belluina di cosa sia il popolo (il suo organo social si chiama la “Bestia”). Non ha la minima visione del passato, del presente e nel presente, del futuro. Vede bene soltanto il provvisorio degli stati d’animo, quello che lo induce a dire basta euro, viva l’euro, chiudere tutto, aprire tutto e altre scemenze da energumeno. In politica non ci vede proprio, è ultramiope, è solo un esperto e primitivo demagogo. Il suo vice, che è di un’altra stoffa, gli ha spiegato che doveva dire di sì a Draghi e a quello che rappresenta, prima di tutto una mentalità italiana evoluta, cioè europea e internazionale, se non voleva schiantarsi contro il suolo dell’irrilevanza rumorosa. L’Infiltrato questo non l’ha capito. Ha appena intuito che forse poteva tornare ministro, girare con un macchinone, darsi da fare nei comizi, minacciare le dimissioni a ogni angolo di strada, vantarsi dei suoi nuovi occhiali da adulto e da perbene, che gli stanno “come un cilindro a un cafone arricchito” (Eliot).
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