Conte o Rousseau?

Valerio Valentini

Giuseppi torna se Grillo si affranca da Casaleggio.Le trame di Di Maio e Fico

Lui che il M5s, lo conosce bene, non a caso lo definisce ora “il vespaio”, con l’aria insomma di chi non ci pensa neppure, a lasciare il buen retiro fiorentino dove s’è rifugiato. E però proprio nel momento in cui lamenta l’impossibilità della prova che gli viene richiesta, Giuseppe Conte lo lancia, eccome, un segnale in risposta al corteggiamento che tutti i big del Movimento conducono nei suoi confronti, con toni e insistenze prossimi allo stalking. Non lo esclude, il ritorno, il fu avvocato del popolo: solo che prima vuole che nel M5s siano fatti ordine e pulizia. Che insomma Beppe Grillo si decida una volta per tutte a regolare i suoi conti con Davide Casaleggio. D’altronde quel che è accaduto nell’ultima settimana, la scombiccherata baruffa intorno al gran rifiuto dei parlamentari di votare la fiducia al governo Draghi, basta e avanza a legittimare qualsiasi richiesta da parte dell’ex premier.

 

Perché da un lato Casaleggio tentava di allestire un mezzo blitz per estromettere Vito Crimi e fare in modo che la costituenda segreteria politica del M5s non raggiungesse l’unico scopo per cui era stata faticosamente concepita: e cioè evitare che la guida del Movimento finisse nelle mani di Dibba. Dall’altro Crimi emanava provvedimenti disciplinari in qualità di reggente di un organismo che non c’era più (il capo politico) e di uno che non c’era ancora (il comitato direttivo). E nel mezzo, un garbuglio di macchinazioni strampalate. Perché a formalizzare le espulsioni dei dissidenti deve essere, a norma di statuto, il comitato dei probiviri. Dei tre membri, due sono esponenti di terza fila del M5s in Veneto, ma assai vicini a quella Casaleggio associati che li esortava a indugiare, a rimandare la decisione finale. E così se Raffaella Andreolla, consigliera comunale in quel di Villorba, lasciava trapelare la sua contrarietà alle espulsioni sull’emittente calabrese Cn24, non era per caso.

 

E’ che tra i senatori a rischio cacciata c’era quel Nicola Morra, cosentino, che ha un rapporto privilegiato con Enrica Sabatini, la fedelissima di Casaleggio che sovrintende alle faccende di Rousseau. E lo stesso sentiero era tentato di percorrerlo anche l’altro probiviro veneto, Jacopo Berti. Sennonché era proprio Luigi Di Maio, che lo conosce bene, ad attivarsi per dissuaderlo dal fare scherzi. Mentre la terza componente del comitato, la ministra Fabiana Dadone, coi parlamentari che la intercettavano per avere lumi sul loro destino di “quasi espulsi”, due giorni si limitava ad alzare le mani: “I server di Rousseau sono in manutenzione: per questo ancora non sono partite le mail”. Spedite, a quanto pare, solo nelle scorse ore. Nel mentre che il tribunale di Cagliari, tanto per aggiungere un tocco di surrealtà a questo pastrocchio burocratico, accoglieva il ricorso di una consigliera sarda espulsa e riconosceva che sì, in questo momento il M5s “è privo di un legale rappresentante”.

 

Insomma ecco perché Paola Taverna, tra le più insofferenti rispetto al perdurante giogo di Rousseau, ai colleghi che come lei invocano il ritorno del messia di Volturara l’ha messa giù molto chiara: “Finché non risolviamo i nostri casini interni, Conte non tornerà”. Ed ecco che allora più silente, più discreto come al solito, Roberto Fico s’è attivato per convincere Grillo a prendere in mano la situazione, ad avviare una separazione formale del M5s dall’ombra di Casaleggio. Progetto non molto diverso da quello che immagina anche Di Maio, sul cui atteggiamento improvvisamente accomodante Conte resta comunque guardingo. Perché l’ex premier sa bene che dietro il disarmo della Farnesina nei suoi confronti potrebbe esserci un tentativo di logorarlo, di metterlo nel mezzo del pantano a gestire un Movimento ingestibile, com’è stato per il povero Crimi. E anche per questo l’avvocato di Volturara tentenna, resiste anche alle lusinghe del solito Goffredo Bettini che, dovendo spiegare il perché del suo ardore nei confronti dell’ex premier, spiega che metterlo alla guida del grillismo significherebbe “rendere irreversibile l’ancoraggio del M5s nel campo del centrosinistra”. Ma in verità l’intento di Di Maio resta anche un altro. Stravolgere uno statuto in teoria appena riformato, creare una carica su misura per l’acclamato leader di turno, allontanarsi da Rousseau, significa insomma archiviare tutte le pretese di integralismo della democrazia diretta. “Una volta che decidiamo di essere un partito maturo – va ripetendo il ministro degli Esteri – lo diventiamo fino in fondo”. E allora vuoi vedere che finalmente il modo per sbarazzarsi di quell’anticaglia del limite dei due mandati, lo si trova davvero?

 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.