il caos a cinque stelle

Così Di Maio pressa Grillo per resettare il M5s e benedire Conte

"La nostra identità post ideologica resta sempre quella delle origini", ci dice Laura Castelli. "Ma le nostre battaglie identitarie vanno declinate in modo nuovo, perché la nostra maturazione come forza di governo è irreversibile". E intanto la Muroni è pronta a far nascere i nuovi "Verdi" anche in Parlamento

Valerio Valentini

Il grillismo in frantumi. Patuanelli a Draghi: "Così per noi diventa insostenibile". E allora il ministro degli Esteri d'intesta la svolta moderata, chiede al Garante di convocare un vertice a Bibbona. Bisogna rottamare Rousseau e promuovere Giuseppi

Se Luigi Di Maio s’è mosso è perché ha capito che, restando fermo, rischierebbe di venire travolto. Lo ha sentito anche lui, del resto, il tono fermo con cui, durante il Cdm di mercoledì sera, Stefano Patuanelli, al sentirsi riproporre da Mario Draghi e Roberto Garofoli i due nomi su cui avevano preventivamente espresso perplessità - quelli di Giorgio Mulè e di Paolo Sisto - ha detto al premier e al suo sottosegretario che “se non ci aiutate a stare in questo governo, per noi questa esperienza diventa insostenibile”

 

Perché il M5s è nel subbuglio di sempre, ma con una confusione inedita. Effetto dell’ennesima capovolta politica, dell’ennesima abiura (“Mai al governo Draghi”: remember?), e dei postumi della lotteria dei sottosegretari che ha fomentato la rabbia degli esclusi. Gente come Stefano Buffagni, che ai suoi colleghi del M5s ha anticipato i suoi propositi bellici: “Andrò in tv a martellare tutti i giorni”. C’è chi chiede di abbracciare il totem ecologista, per trovare una dimensione vivibile nel nuovo governissimo. E però anche su quel fronte, un M5s sfibrato dalle convulsioni interne rischia di vedersi beffato: perché i Verdi italiani, che oggi si riuniranno nel loro direttivo, sono ormai ben disposti a fornire l’utilizzo del loro simbolo per formazione di una nuova componente parlamentare guidata dalla deputata di Leu Rossella Muroni con Alessandro Fusacchia e Lorenzo Fioramonti, che potrebbero tentare anche parecchi grillini prossimi all’insubordinazione.

 

Eccola, dunque, la fretta di Di Maio. Che invoca il gran ritorno di Giuseppe Conte perché sa che altra strada non c’è, al momento, per ridare serenità ai gruppi parlamentari e un minimo di prospettiva al grillismo in disarmo. E al contempo vede nella riesumazione del fu avvocato del popolo l’occasione che da tempo aspetta per affrancarsi dalle logiche di Rousseau. E se il ministro degli Esteri è arrivato a lamentarsi coi suoi fedelissimi del fatto che, a inseguire il mito della democrazia digitale, si è rimasti con un partito che non ha neppure un euro in cassa, è perché sa che di lì, dal superamento della fase infantile del grillismo, passa anche la possibilità di abrogare il vincolo dei due mandati, garantirsi un futuro politico reale e smarcarsi dall’ombra di Davide Casaleggio.

 

Che non a caso si dà al sabotaggio. E se da un lato boicotta l’operazione repulisti benedetta da Di Maio ritardando l’invio delle mail di espulsione ai parlamentari dissidenti (“I server di Rousseau sono in manutenzione: al massimo vi manderemo le raccomandate per posta”, ha provato a giustificarsi la ministra Fabiana Dadone, uno dei membri del collegio dei probiviri, coi parlamentari che la interrogavano), dall’altro accelera la procedura di sanzione verso deputati e senatori in ritardo con le restituzioni a Rousseau, col gusto sadico di chi accende un cerino in una polveriera per gustarsi l’effetto che fa. Senza contare, poi, il garbuglio burocratico in cui il Movimento s’è accartocciato, tra statuti che si confutano a vicenda e regolamenti incompiuti, fino al punto che il tribunale di Cagliari, accogliendo il ricorso di una consigliera sarda espulsa, arriva a sancire che sì, il M5s “è privo di rappresentanza legale”.

 

Motivo in più per alimentare la convinzione di Di Maio. Certo che, di fronte a questo pandemonio, Beppe Grillo accetterà di resettare tutto: e per questo il ministro degli Esteri ha insistito col garante perché intervenga, con un post sul Blog o magari indicendo una riunione dei vertici del M5s, invitando anche Conte, che oggi terrà la sua lectio magistralis all’Università di Firenze. Magari in quella stessa villa di Bibbona, che già fu teatro della svolta che portò i grillini a scaricare Salvini per abbracciare “il partito di Bibbiano”, e che ora dovrebbe sancire la nascita di un M5s nuovo, che Di Maio vorrebbe “moderato e liberale”. Il che è forse un po’ troppo perfino per un M5s che ha stravolto la sua natura. E infatti è già tutto un fiorire di proteste: dal senatore Andrea Cioffi al capo staff di Virginia Raggi, Max Bugani, che paragona Di Maio a De Mita (convinto evidentemente di fargli un dispetto) e il nuovo M5s a “una costola di Berlusconi”. “La verità - ci dice invece Laura Castelli, riconfermata viceministro all’Economia - è che noi rifuggiamo un collocamento ideologico statico. La nostra identità post ideologica resta sempre quella delle origini; ma ai nostri valori tradizionali, dall’ecologia a una politica economica che non lascia nessuno indietro, ora dobbiamo dare una declinazione nuova, al passo coi tempi e con le sfide dell’Italia. Sapendo però che la nostra maturazione come forza di governo è irreversibile”. Altro che Rousseau.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.