Eravamo tanto contiani

Da "mai con Draghi" al governo con Draghi. I pretoriani di Conte ci ripensano

La svolta del M5s fotografata nelle parole di Luigi Di Maio, che parla di un M5s "moderato e liberale", innescando il finimondo tra i suoi. L'ira di Cioffi. Dessì abbandona

Valerio Valentini

Da Di Stefano a Sibilia, passando per la Floridia. Nel M5s gridavano al golpe dei poteri forti contro Giuseppi, ora giurano fedeltà all'apostolo delle élite. Tabacci li gabba tutti: ma almeno lui democristiano lo è davvero

Col piglio di chi la sa lunga, Manlio Di Stefano aveva usato parole inequivocabili. "Un governo tecnico nella storia recente l'abbiamo conosciuto e ce ne ricordiamo ancora per la macelleria sociale. Lo scopo di Renzi è ripetere quell'esperienza perché a lui degli italiani importa zero davanti alle richieste dei suo padroni. Il nostro voto non potrà dunque esserci e mi dispiace per gli sforzi, sinceri e caparbi, del Presidente Mattarella". Era il 3 febbraio scorso, quando si vagheggiava ancora la riesumazione del Conte ter. Ventuno giorni dopo, Manlio Di Stefano, che è sempre lo stesso Manlio Di Stefano, accetta di entrare a far parte del governo di Mario Draghi, come sottosegretario agli Esteri. 

 

 

E allora, se tre settimane possono bastare per far maturare il pentimento e l'espiazione della colpa, figurarsi se Carlo Sibilia deve davvero preoccuparsi per quei tweet di tre, quattro anni fa, in cui dava a Draghi del "bankster", insomma del criminale, del cospiratore, invocando l'arresto di quello stesso banchiere "stragista della finanza" a cui tra qualche ora stringerà la mano, riverente, ottenendo la riconferma a sottosegretario all'Interno.

 

E chissà se Barbara Floridia, neo sottosegretaria all'Istruzione, da ieri sera si sente un po' come uno strumento di una macchinazione ordita dai solito ignoti per abbattere l'apparentemente insostituibile Giuseppe Conte. "A fallire - scriveva la senatrice siciliana del M5s il 4 febbraio - saranno i lupi e i poteri forti che, dando mandato a chi non ha più faccia da perdere né valori da difendere pensa di avere vinto". Giravolte di cui, beninteso, la politica s'è sempre sostanziata. Ma che fatte con tale destrezza, tale disinvoltura, da chi si professava puro e incontaminato, rendono per contrasto quasi commovente l'ingenuità di chi, come Emanuele Dessì, senatore vicino a Paola Taverna, ribadisce che lui no, proprio non ce la fa a stare in un M5s che accetta un governo con Salvini e Renzi e Berlusconi, per cui lascia a se ne va. 

 

Insomma erano tutti tanto contiani, nel Movimento. E ora tributano gli onori del caso a chi a Conte è succeduto. E del resto lo stesso Luigi Di Maio prova a intestarsi questa svolta: acclamando, sì, in un'intervista a Repubblica, il gran rientro dell'ex premier alla guida di un M5s allo sbando, ma al contempo facendo promotore di una crescita del grillismo in forza tranquilla, "moderata e responsabile". Una strambata così brusca che c'è chi resta disorientato, e forse perfino indignato. E così Andrea Cioffi, colonnello del M5s al Senato, lui che è stato perfino sottosegretario al Mise diretto da Di Maio ai tempi del governo gialloverde, consegna a Twitter il suo "not in my name". E scrive: "Il Movimento 5 Stelle non è una forza moderata e liberale, non lo è mai stata e non lo diventerà. Punto."

Va inserita nel capitolo dell'astuzia democristiana la capriola sul filo di Bruno Tabacci. Che in difesa di Giuseppe Conte s'era perfino immolato: passava giornate intere a reclutargli parlamentari, organizzargli supposte truppe di costruttori che poi si rivelarono dei manipoli mal assortiti. E alla fine, con abile mossa, eccolo qui che diventa, pure lui, sottosegretario al Coordinamento della politica economica.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.