La transizione lenta di Cingolani. Tutte le grane (e come evitarle) del superministero
Passano all'Ambiente entrambe le direzioni generali dell'Energia sottratte al Mise. Ma per completare il trasferimento ci vorranno almeno sei mesi. Si studiano soluzioni di compromesso. E intanto Giorgetti mantiene per sé le telecomunicazioni: strategiche per parlare con gli Usa e col Cav.
Certe volte gli spazi bianchi sono più eloquenti di molte parole. E i vari puntini di sospensione che occhieggiano qua e là nel testo del decreto che oggi va in discussione in Cdm testimoniano di quanto tribolata sia la grande ristrutturazione dei ministeri annunciata alla nascita del governo Draghi. Perché si fa presto a dire transizione. “Ma qua ci vorranno almeno sei mesi. Forse otto”, sbuffa l’alto funzionario del Mise cui è toccata la rogna, condivisa con pochi altri sciagurati, di pianificare il trasloco.
E la transizione, nella fattispecie, non è quella che dovrà guidare Roberto Cingolani. “Qui il problema è proprio la transizione nel senso del passaggio da una struttura all’altra”. Alla fine infatti Giancarlo Giorgetti s’è dovuto rassegnare: non ci sarà alcuno spacchettamento delle deleghe dell’energia. Entrambe le direzioni generali che stavano in capo al Mise, quelle dell’Approvvigionamento e delle Infrastrutture, si trasferiranno interamente sulla Cristoforo Colombo. E coi due dirigenti storici, Alberto Dialuce e Sara Romano, dovranno spostarsi quasi centottanta persone. Stima grossolana. Perché in effetti il testo del decreto rimanda a un successivo dpcm, da emanarsi entro il 31 marzo, il compito di provvedere “alla puntuale individuazione delle risorse umane e strumentali da trasferire”.
E già qui, chi un poco frequenta i corridoi ministeriali, sa quanto lunga e complicata potrà rivelarsi la procedura. Per completare il passaggio del Commercio estero dal Mise alla Farnesina, accontentando così Luigi Di Maio nel trapasso dal Conte I al Conte II, c’è voluto un anno. E siccome stavolta, con le scadenze del Recovery che incombono, di tempo ce n’è poco, al Mise valutano come necessario il ricorso al cosiddetto avvalimento, una procedura normativa che, detta in breve, consistente nell’assegnare a una nuova struttura (il ministero per la Transizione ecologico) il personale ancora incardinato nella sua vecchia collocazione (il Mise). Manovra complessa, ma forse necessaria per evitare lo stallo.
Nel frattempo, però, Cingolani potrebbe comunque conquistarsi una certa centralità, nelle dinamiche governative. Perché sarà di fatto lui ad animare il lavoro del Cite, il Comitato interministeriale per la transizione ecologica. Che, a rigore, verrà istituito a Palazzo Chigi e sarà presieduto da Mario Draghi. E però è Cingolani che sovrintenderà al regolamento interno del Comitato e che guiderà, in assenza del premier, una macchina che dovrà coordinare l’operato dei ministeri dello Sviluppo, dei Trasporti, dell’Agricoltura e dell’Economia sui temi che riguardano la mobilità sostenibile, il contrasto al dissesto idrogeologico, risorse e infrastrutture idriche ed economia circolare. Un piano articolato, le cui azioni intercetteranno molte delle pratiche connesse al Recovery, e che dovrà essere stilato in tre mesi.
Una prerogativa simile spetterà anche a Vittorio Colao, che da responsabile della Transizione digitale coordinerà i lavori di un altro Comitato interministeriale (Citd) che vedrà anche il coinvolgimento di enti locali e regioni e che sovrintenderà “all’attuazione dell’agenda digitale italiana ed europea e della strategia italiana per la banda ultra larga”, coi relativi fondi che arriveranno da Bruxelles. Ad affiancare Colao ci sarà Stefano Firpo, mente pensante del Mise ai tempi di Carlo Calenda, quando fu lui a ideare il piano 4.0, e ora voluto dall’ex manager di Vodafone come capo di gabinetto due anni dopo il addio burrascoso a Via Veneto, in quel ministero colonizzato dalla meglio gioventù di Pomigliano arrivata al seguito di Di Maio.
Non ricadranno sotto la guida di Colao, invece, le deleghe sulle telecomunicazioni. Con grande gaudio di Giorgetti, che a quelle competenze ci teneva parecchio e s’era detto preoccupato di doverle cedere. Ma essendo quello della Transizione digitale un ministero senza portafoglio, il trasferimento s’è rivelato impossibile. Per cui spetterà al vicesegretario della Lega occuparsi della delicata questione del 5G: tema a cui Giorgetti si è dedicato già nel Conte I, quando sulla faccenda sorvegliava da sottosegretario alla Presidenza attraverso il fidato Giacomo Vigna, di stanza a Palazzo Chigi, e a cui potrà tornare a prestare attenzione nell’intento di soddisfare le pressanti richieste che sulla materia provengono dall’Amministrazione americana. Senza contare, poi, che le telecomunicazioni sono tema assai sensibile anche dalle parti di Arcore. Il che per chi, come Giorgetti, ai buoni rapporti di vicinato col Cav. ci tiene assai, nell’ottica di un futuro approdo della Lega nel Ppe, è senz’altro un bene.