Verso il congresso Pd
Il Pd dei lunghi coltelli: "scorie", "sedute spiritiche". Parte il processo a Zingaretti e Orlando
La direzione del Pd. Zinga si difende ma il problema sono i suoi avvocati
Orlando parla di "ridotta renziana" nel partito. Base riformista infuriata. Gli orfiniani chiedono al vicesegretario di dimettersi. Franceschini tace. Si teme la rabbia di Prodi per esclusione di Zampa. La tempesta prima ancora del congresso
Roma. Alle donne del partito ha detto: “Mi assumo tutta la responsabilità politica”. E si è scusato per avere scelto una compagine di ministri uomini che ha “mortificato la sensibilità femminile”. Ha promesso la rigenerazione del Pd ma precisando: “Non siamo al giorno zero”. Ma che giorni possono mai essere quelli di un segretario che viene attaccato per le parole del suo vice, per i pensieri di Goffredo Bettini, che è una specie di padre ingombrante, per i suoi lapsus (“dobbiamo rilanciare il Pci”), per i suoi tweet in difesa di Barbara D’Urso? Ieri, Nicola Zingaretti, alla direzione del Pd, si difendeva dal processo. La sua pena è il congresso.
Si è aggrappato all’ordine del giorno come a voler dire: “Almeno oggi limitiamoci a questo”. Ha allontanato al 13 e al 14 marzo la discussione sull’identità del Pd, sulle alleanze perché “oggi si parla di differenze di genere”. Riconosceva che la formazione del governo Draghi è “stata una battuta d’arresto” ma chiamava in correità tutti perché “le scelte delle ultime settimane sono state condivise insieme”.
Era troppo intelligente per non sapere che se Lorenzo Guerini alla fine non ha parlato, ma assicurano che volesse farlo, era solo perché il ministro della Difesa è troppo consumato per non sapere che certe cose è meglio farle il giorno dopo. Avrebbe voluto dire, e liberarsi una volta per tutte dell’accusa insopportabile, di essere una “colonna del renzismo”. Avrebbe voluto dire che il suo gruppo, quello che ha fondato insieme a Luca Lotti, Base riformista, “sta nel Pd perché l’ha fondato e non perché è un infiltrato” come ieri Andrea Orlando ha suggerito in un’intervista alla Nazione. E Guerini avrebbe voluto dire, ancora, che la lettura del partito che fa Orlando è completamente errata. Lo hanno dichiarato alle agenzie Nino Rizzo Nervo (“le sue parole sono divisive”), Dario Stefano (“veda meno film noir”).
Matteo Orfini lo hanno invece sentito esclamare, ma nessuno può confermare, che “i sindaci del Pd meritano rispetto. Non si parla di scorie”. E c’era chi canzonava sia il segretario che il vice perché “non fanno più direzioni ma sedute spiritiche. Vogliono comunicare con i loro fantasmi: Giuseppe Conte e il M5s”. Chiara Gribaudo, che è una donna di temperamento, vicina a Orfini, è intervenuta in Direzione (tra le altre cose aggiornata a lunedì) e senza girarci intorno ha introdotto l’altro tormento: “Io devo chiedere perché una vicesegretaria donna (si riferiva a Paola De Micheli) si è dimessa per evitare il doppio incarico e un vicesegretario uomo non lo ha fatto e non lo sta ancora facendo”. C’è qualcosa in Orlando che, vale ripetere, è inafferrabile. Nell’intervista, che tanto ha scosso, ha usato questo lessico: “Stanno riemergendo le scorie di un processo di riflessione non portato a compimento”. Ha definito “rigurgiti di posizioni del passato” i pensieri di sindaci come Gori, Nardella, Decaro.
Prima di pronunciare queste parole aveva garantito ai suoi: “Farò un’intervista su temi territoriali della Toscana…”. Era infuriato e non solo perché hanno lasciato fuori dal governo i suoi uomini migliori ma perché ha un’aggressività politica antica, qualcuno, nel partito, la etichetta come togliattiana: “Le sue scorie corrispondono ai pidocchi nella criniera di un nobile cavallo da corsa”. Sono state parole così forti che c’era perfino chi ragionava: “Vanno metabolizzate per rispondere dopo in assemblea nazionale”.
E significa che da qui a metà marzo, per Zingaretti, sarà una “grande inquisizione”. Si ostina a ripetere (perché ci crede) che anche lui è per la vocazione maggioritaria ma che “senza alleanze il Pd è solo di testimonianza”. C’era ieri chi, al Nazareno, sorrideva e si domandava: “E’ l’unico che si vuole alleare con il M5s, un partito che sta evaporando. Un leader alzerebbe la fiamma anziché inseguire un partito che si sta estinguendo”.
Di sera, Debora Serracchiani, avvertiva sui rischi del congresso anticipato che “crea logoramento”. Graziano Delrio, che rimane un cattolico anche nei dissidi, sarebbe del parere di fermarsi. E però, solo individuando una data del congresso si può ottenere questa piccola cosa buona. Raccontano che al segretario, tolto Orlando, sta mancando il sostegno di Dario Franceschini, che come si sa, anticipa i venti.
Non lo favorisce neppure l’esclusione del governo di Sandra Zampa che è cara a Romano Prodi. Adesso si teme pure la sua bile. Nel partito si propone perfino questa uscita di sicurezza: “Se fosse serio, Zingaretti, si dimetterebbe. Lo possiamo candidare a Roma e risolveremmo due problemi”. Non gli basterebbero tutti gli avvocati se anche i suoi avversari pensano che i problemi di Zingaretti sono per paradosso Orlando e Bettini. Che sarebbero i suoi due avvocati.