Un nome per gli Affare legali?
Marco D'Alberti, un altro possibile tassello di discontinuità per Draghi (stavolta giuridica)
Giurista, "fratello minore" di Sabino Cassese, allievo come lui di Massimo Severo Giannini, poi docente esperto di Diritto Amministrativo comparato
I passaggi al Cnel, alla Consob e all'Antitrust, le esperienze internazionali. Il report scritto con Giavazzi ai tempi di Monti. La diversità rispetto al mondo "Conte-Alpa".
Roma. C’è un punto in cui si intersecano due nomi del “tridente” di cui si parla a proposito della squadra ristretta di Mario Draghi, e cioè i tre esperti che il premier vorrebbe con sé come consiglieri per la pandemia (Giuseppe Remuzzi), per l’economia (Francesco Giavazzi) e per gli Affari legali (Marco D'Alberti). Ed è un’analisi sui contributi pubblici alle imprese del 2012, firmata, tra gli altri, da Francesco Giavazzi e Marco D’Alberti. Destinatario e committente: Mario Monti, allora presidente del Consiglio. Nelle premesse, redatte su incarico del Consiglio dei ministri del 30 aprile 2012, si legge, al primo punto, una frase indicativa dell’impostazione del report: “Seppure tagli alla spesa pubblica possono ridurre il reddito di particolari settori della società, una riduzione della spesa nel suo complesso, se destinata a diminuire la pressione fiscale, ha effetti espansivi sull’economia. Non si deve quindi cedere alla tentazione di riallocare la spesa, tagliando spese meno efficienti…è solo utilizzando una riduzione della spesa per finanziare una corrispondente diminuzione della pressione fiscale che si favorisce davvero la crescita”. Seguono altre considerazioni su sussidi, contributi pubblici e incertezza normativa, nel contesto di allora, e cioè nel quadro “macroeconomico della crisi del debito sovrano in alcuni paesi”.
Cambiato il contesto, restano gli uomini: uno dei migliori dei mondi possibili a livello di esperti che Draghi vorrebbe accanto. E se Francesco Giavazzi è già noto al mondo politico oltreché universitario, D’Alberti gode di stima tenace ma sotterranea, non soltanto in Italia, dove è stato docente (all’Università di Camerino, Urbino e Ancona e alla Sapienza di Roma), ma anche oltre confine e oltremare: ha insegnato infatti a Yale, Harvard e Cambridge. Ed è qui, al crocevia tra ambiente ex montiano-internazionale e grandi accademie estere (tra cui l’Acadèmie international de droit comparé) che risiede il primo dei motivi – la chiara fama – che fa di D’Alberti un possibile e credibile nome da alto consigliere nel governo Draghi. L’altra ragione riguarda l’appartenenza di D’Alberti al cerchio ristretto del giurista e giudice emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese, sorta di “fratello maggiore” accademico per D’Alberti (sono stati entrambi allievi del grande giurista Massimo Severo Giannini) nonché estimatore: “Se fosse lui il prescelto, chi meglio di lui?”, dice Cassese dell’esperto di Diritto amministrativo comparato.
E se il mondo di D’Alberti è quello di Cassese, notano in ambienti non lontani da quelli draghiani, “certo non può essere quello di Giuseppe Conte e di Guido Alpa, il mentore dell’ex premier”. E insomma D’Alberti sembra essere un altro tassello di discontinuità, stavolta giuridica. Non per niente il professor Cassese, che in epoca contiana spiegava e rispiegava perché l’uso dei Dpcm presentasse “l’inconveniente” della “confusione” e dell’invasione”, negli ultimi giorni ha pubblicamente indicato a Draghi “gli errori da evitare”, a partire dal campo della Giustizia. Il resto lo spiega il percorso di D’Alberti, uomo schivo nell’eloquio e nei modi, “a lezione come durante le conferenze sulla storia dell’impresa italiana”, racconta un ex collega; ed è un percorso che passa per il Cnel (D’Alberti è stato consigliere tra il 1995 e il 1997), l’Antitrust (di cui è stato componente dal 1997 al 2004), la Consob (componente del comitato scientifico negli anni Novanta). E passa per volumi editi dal Mulino, per esempio su “La dirigenza pubblica” e “L’alta burocrazia” – quella con cui potrebbe presto avere a che fare.