il piano del governo
La road map di Franco e Draghi per cambiare il Recovery senza strappi
Il Pd mugugna. "Non mi sono mai piaciuti gli uomini soli al comando", dice Misiani. Nel M5s c'è disorientamento: il colloquio tra D'Incà e Crippa. Ma il ministro dell'Economia prova a sminare il terreno: correggere il Pnrr senza commissariare i partiti
Il ministro dell'Economia lunedì prossimo confermerà che il governo attenderà fino al 30 marzo per le osservazioni del Parlamento. Ma intanto il lavoro procede. Il piano di Brunetta sulla Pa, la cautela della Cartabia, che sulla giustizia civile rinuncia al decreto
La tentazione, a dispetto delle dichiarate buone intenzioni, forse ci sarebbe. Perché col M5s in subbuglio perenne, capace di accapigliarsi perfino sulla sperimentazione animale (è tutto vero!), e un Pd che corre verso il congresso, di fronte all’incombenza delle scadenze europee Daniele Franco, e con lui Mario Draghi, avrebbero buon gioco a rivendicare il diritto di fare da soli, e riscrivere il piano del Recovery. Ma siccome la politica ha le sue logiche, il premier e il ministro dell’Economia sanno che non possono commissariare i partiti. Non fino in fondo, almeno. Del resto è arrivata fin dentro al Mef l’eco dei mugugni di Antonio Misiani, senatore del Pd che il suo ufficio a Via XX Settembre lo ha lasciato da pochi giorni e che già lamenta un eccessivo accentramento di potere, sul Recovery: “A me gli uomini soli al comando non sono mai piaciuti”, dice. E anche Federico D’Incà s’è visto costretto a chiedere lumi a Palazzo Chigi, perché a lui a sua volta ieri glieli ha chiesti il capogruppo del M5s alla Camera, Davide Crippa: e il ministro grillino ha dovuto prendere tempo e spiegare che sui metodi che il governo adotterà per correggere il Pnrr ci sono ancora poche certezze.
Alcune le fornirà, all’inizio della settimana prossima, lo stesso Franco. Che da giorni, proprio per sminare il terreno, ha preso contatti con gli esponenti dei vari partiti che maneggiano il dossier. E ieri mattina ha convocato al Mef il presidente della commissione Affari europei del Senato, il dem Dario Stefano. Il problema, percepito in modo trasversale, riguarda il fatto che le Camere sono ancora indaffarate nell’analisi del vecchio Pnrr, quello licenziato da un governo Conte già periclitante, e intanto tra Palazzo Chigi e Via XX Settembre già si procede a una nuova stesura. Per questo Franco, che gli umori dei partiti ha imparato a decifrarli negli anni passati alla guida della Ragioneria dello stato, ha anticipato la sua audizione alle Camere a lunedì 8 marzo: e sarà in quella sede che illustrerà la tabella di marcia che al Mef stanno allestendo per perfezionare il Pnrr. E insomma l’orientamento del ministro è quello di attendere, collaborando e dialogando coi partiti, che Camera e Senato votino la risoluzione in Aula, già prevista a Montecitorio per il 30 marzo prossimo, sul Recovery. E di lì trarre indirizzi utili a integrare e correggere il precedente Pnrr. A quel punto, il governo potrebbe anche allegare il nuovo Pnrr al testo del Def, il Documento di economia e finanza che verrà presentato alle Camere nella prima decade di aprile, per essere mandato a Bruxelles non oltre il 20 del mese. E siccome la scadenza prevista per il Recovery è il 30 dello stesso mese, si potrebbe anche pensare a un documento unico. “Non so se sarà questa la scelta del governo”, ammette il dem Fabio Melilli, presidente della commissione Bilancio della Camera. “Di certo nel Pnrr ci saranno le previsioni d’impatto sul pil del Recovery: e il Def non potrà non tenerne conto”.
Prima di arrivare lì, comunque, altri due ministri dovranno sciogliere alcune riserve. Renato Brunetta potrebbe infatti presentarsi alle Camere martedì prossimo: e anche a lui toccherà spiegare i dettagli del suo piano di riforma della Pa, assai richiesto da Bruxellese. E molto di quel piano, stando anche alle convinzioni di quella Marcella Panucci che Brunetta ha scelto come suo capo di gabinetto, ruoterà intorno alla necessità di puntare sul capitale umano: e dunque una particolare attenzione ai requisiti d’accesso nei concorsi per le nuove immissioni di personale, una formazione continua basata anche su una maggiore mobilità dei dipendenti e su nuovi meccanismi di valutazione della perfomance.
L’altra riforma propedeutica è invece quella della giustizia civile. Marta Cartabia ha lasciato intendere che, a differenza di quanto previsto nel precedente Pnrr, non agirà per decreto, ma si affiderà al lavoro del Parlamento su un disegno di legge già incardinato al Senato: bisognerà accelerarne l’iter, certo, e integrare il testo con alcune novità suggerite da Via Arenula, ma si lavorerà insomma più di cesello che non di piccone. Anche perché il tema della giustizia è esplosivo come pochi altri, in questa maggioranza: e anche per questo la ministra potrebbe prendersi qualche settimana in più, prima di essere audita dalle Camere.