le trattative sulla legge elettorale
Così Zingaretti e Salvini mandano avanti gli sherpa a trattare sul maggioritario
Col ritorno al bipolarismo, il Pd entra in subbuglio. "L'alleanza col M5s non ci esime dall'essere forza egemone", dice Marcucci. Per Bordo, però, "Conte e il M5s occuperanno il centro, noi guarderemo a chi resta indietro". Ma c'è chi, come Borghi, insorge: "Perché dobbiamo sempre demandare ad altri la responsabilità del riformismo?". E intanto Calenda prova ad allargarsi
L'idea di base è il modello dei sindaci: premio del 55 per cento, cosicché nessuno stravinca. Ma Calderoli punta a conservare il Rosatellum. E per il Pd il ritorno al bipolarismo è un'incognita. E poi c'è il M5s, che ad accantonare il propozionale e le preferenze non ci pensa (Patuanelli dixit)
Che ne abbiano parlato, è fuor di dubbio. E infatti i due protagonisti, Matteo Salvini e Nicola Zingaretti, nei rispettivi conciliaboli privati si limitano a rimpallarsi a vicenda, semmai, la primogenitura della proposta. “E’ stato lui a tirare fuori l’argomento”, ha riferito il leader della Lega ai suoi confidenti, parlando dell’incontro riservato, a Montecitorio, di metà gennaio. “Ne abbiamo fatto solo un cenno, ma è ancora tutto prematuro”, ha tagliato corto il segretario del Pd con chi gli chiedeva lumi. Sta di fatto che poi a quell’intesa appena abbozzata hanno provato entrambi a dare forza e consistenza, dando mandato ai rispettivi sherpa perché s’intavoli la discussione per superare il proporzionale.
E così il lavoro di retrobottega è iniziato. E Dario Parrini, presidente dem della commissione Affari costituzionali al Senato, ha avuto modo di confrontarsi con Roberto Calderoli. Che, col sarcasmo di sempre, ha subito sorriso: “Abbiamo aperto questa nuova esperienza di governo parlando dell’intergruppo di Pd, Leu e M5s e di un intergruppo di centrodestra. Il che significa che è già tornato il bipolarismo”. E ragionamenti analoghi Graziano Delrio se li è sentiti fare da chi, per il Carroccio, segue il dossier alla Camera. “Perché è chiaro che, se siamo entrati in maggioranza - ha confessato Igor Iezzi, salviniano tutto d’un pezzo - è anche per scongiurare il ritorno al proporzionale”. Che alla Lega causerebbe vari problemi: e, su tutti, quello di garantirsi la fedeltà di Forza Italia.
E così l’accordo da cui si potrebbe partire per non scontentare nessuno è una legge elettorale che s’ispiri al modello dei sindaci: un maggioritario col premio di maggioranza al 55 per cento, e con l’obbligo di definire le coalizioni prima del voto. Così che nessuno, pur vincendo, possa stravincere. Da qui, il Pd è convinto di poter arrivare al doppio turno. Caldeorli, più luciferino, dice che alla Lega basterà “fare interdizione”: ché insomma, col voto segreto alla Camera ad alto tasso di incertezza, si potrebbe anche finire a tornare alle urne col Rosatellum, che per Salvini sarebbe una benedizione.
Quanto a Zingaretti un simile campo da gioco fugherebbe ogni dubbio dalla necessità di stringere un’alleanza col M5s. “Ma non ci esimerebbe comunque dall’affermarci come forza egemone nel campo del centrosinistra”, precisa Andrea Marcucci. “E anzi: proprio dalla competizione interna dipenderebbe poi l’eventuale candidato premier”, prosegue il capogruppo del Pd al Senato. E in effetti la competizione nessuno la esclude, nel Pd. E’ sul ruolo da assumere, però, che si consuma lo scontro politico vero che porterà il partito al congresso. E infatti se si parla con Michele Bordo, fedelissimo di Andrea Orlando, ci si sente dire che “il Pd avrebbe bisogno di una rifondazione, perché non può continuare a essere il partito del ‘ma anche’, che tiene dentro tutto e il suo contrario. Conte è stato abbattuto proprio perché stava costrunedo un suo movimento centrista. E ora che si è posto alla guida del M5s, proverà di nuovo a occupare quello spazio”. E’ l’idea cara a Pier Luigi Bersnai, in fondo: quella del M5s come “partito radicale di centro”. E il Pd? “Il Pd deve tornare a essere il partito del lavoro, il partito che dà raprresentanza agli ultimi, a chi è rimasto indietro”. Fare insomma l’ala sinistra della coalizione: questa è la convinzione che Bordo condivide con Peppe Provenzano, con Francesco Boccia e Goffredo Bettini. Ma poi nel Pd c’è anche chi, come Enrico Borghi, vede semmai un M5s a sinistra del Pd. “Ma alcuni strateghi - osserva, critico, il deputato dem di rito gueriniano - prima hanno agevolato l’addio di Renzi, convinti che a quel punto il ritorno alla Ditta sarebbe stato più facile. Poi lo hanno esplicitamente esortato a farsi federatore del centro. Ora, quello stesso ruolo, lo demandano a Conte e a Rousseau. Di base, insomma, c’è la rinuncia aprioristica a pensare che la vera forza riformista possa essere il Pd”.
Senza contare, poi, che erigere Conte a leader del centro spingerebbe chi in quel centro pensa di poter crescere ad allontanarsi non poco dal campo del centrosinistra. “Nel Pd danno per scontato che noi facciamo i portatori d’acqua a Di Maio e Toninelli come del resto erano convinti che io mi ritirassi dalla corsa a sindaco di Roma”, ha spiegato Carlo Calenda ad alcuni dei suoi, nei giorni scorsi, anticipando al contrario il varo di un nuovo comitato di associazioni, che vedrà la luce nei prossimi giorni e che vedrà il coinvolgimento di Oscar Giannino, Alessandro De Nicola e altri animatori del mondo liberale in cerca di una nuova casa.
E infine, nel gran disegno abbozzato da Zingaretti e Salvini, resta da convincere il M5s. E Stefano Patuanelli, ai pontieri dem, lo ha già anticipato che loro al proporzionale e alle preferenze non intendono rinunciarci. “Anzi - spiega Giuseppe Brescia, presidente grillino della commissiona Affari costituzionale alla Camera - è stato proprio il Pd a pressare in direzione del proporzionale, la scorsa estate. Per cui noi ci atteniamo agli atti ufficiali in Parlamento. Dove, al momento, nessuno ha avanzato proposte sul maggioritario”.