Il candidato riluttante
Dilemma Bonaccini. Voleva la segreteria ma non può lasciare l'Emilia-Romagna nel caos
Il congresso da fare, la regione da seguire. Le mosse
Gli serve tempo sia per candidarsi a segretario sia per superare la pandemia della sua regione. Spiazzato da Zingaretti si ripara da chi lo vuole trascinare nella mischia. La sua squadra, i rapporti con Prodi. Nel Pd si parla di Fassino reggitore
Roma. Vuole diventare segretario ma non ora e in questo modo. Non ha un piano per scalare il partito, non ha una corrente che sia veramente sua, non ha preparato una campagna, non ha intenzione di fare il candidato al congresso se il congresso si svolgerà nel 2022 perché “due anni sono tantissimi”, ma neppure a ottobre “perché devo occuparmi della mia regione”. Stefano Bonaccini è adesso l’uomo malgrado. Non voleva le dimissioni di Zingaretti malgrado non gradisse la linea del segretario. Non può essere l’uomo del destino malgrado tutti lo ripetano. Gli serve almeno un anno.
Raccontano che a fargli perdere il sonno non è il congresso del Pd “di cui non voglio assolutamente discutere” ma l’emergenza della sua Emilia-Romagna che è tra le regioni più attaccate dalle varianti. In questi ultimi mesi è cambiato qualcosa. Gli uomini che monitorano la sua posta si sono accorti che sono cresciute le lettere di chi gli scrive “resta a Bologna” e che sono calate quelle “vai a Roma e cambia tutto”. Quando ha saputo delle dimissioni di Zingaretti, Bonaccini stava partecipando all’ennesimo tavolo con il governo.
E dicono che Bonaccini di tutto volesse parlare eccetto che di quel gesto che lo ha stupito, ma meno di quanto abbia stupito Orlando e Franceschini che ha visto negli occhi, occhi più sorpresi dei suoi. In quel momento ha compreso che stava per iniziare un terremoto che era anche personale. Ha staccato il telefono e lasciato spiegare ad altri che lui “non poteva ragionare di quello perché doveva occuparsi di altro e più importante”. E non mentiva. In Emilia-Romagna gli rimproverano la campagna vaccinale affidata ai medici di famiglia, i ritardi, le dichiarazioni che quel birbante di Matteo Salvini si ritaglia e solo per poter urlare al mondo che “anche Bonaccini la pensa come me”.
Lo descrivono come preoccupato, più solo di quanto gli uomini di Zingaretti vogliono fare credere. Dove sono le armate di Bonaccini? Assicurano che con Base Riformista ha dei contatti ma neppure così intensi (e però servono i voti di quella corrente) e che a Roma ha solo un uomo di fiducia e collegamento.
E’ Andrea Rossi che si è scambiato il ruolo con Davide Baruffi, uno che da sempre è il vero consigliere politico, l’amico ascoltato. Dove sarebbe la potente macchina comunicativa? Daniel Fishman, che gli ha seguito la campagna elettorale, in questo momento è a riposo. C’è Marco Agnoletti che cura i rapporti con la stampa nazionale e che non ha bisogno di essere presentato (era il portavoce di Matteo Renzi) ma che non merita di essere descritto come uno stregone che sta preparando l’assalto al cielo di Bonaccini.
C’è un gruppo, lo chiamano “il gruppo dei cinquantenni”, sui cui realmente può contare. Sono Simona Bonafè, Elisabetta Gualmini, Dario Nardella, Antonio Decaro, Simona Malpezzi. Ha buoni rapporti con Romano Prodi. Anzi, sono cresciuti. Al governo vanta un rapporto antico con il ministro Enrico Giovannini con cui si è sempre confrontato. Al sud fa sponda con Vincenzo De Luca. Ma basta questo per prendersi un partito mentre la pandemia infuria? Dieci giorni fa, aveva incontrato Zingaretti e aveva perfino scherzato con lui che conosce da trent’anni: “Sei stato il mio primo segretario della Fgci”. E dicono che Zingaretti alla fine non ce l’avesse neppure con lui ma con i sindaci che dietro a Bonaccini si sono riparati.
A Bologna, ieri sera, ricordavano che quando Renzi aveva definito Franceschini “vicedisastro”, Franceschini prese il telefono e lo chiamò: “Ciao, sono il vicedisastro. Parliamo”. Pensano insomma che a Zingaretti sono “saltati i nervi” e che adesso proveranno a farli saltare a Bonaccini. Più cercheranno di trascinarlo in campo e più si tirerà fuori. Si fa il nome di Piero Fassino come possibile reggitore del Pd.