Realismo politico vs agenda anti politica
Sorpresa: con Draghi ritornano i partiti
A tre anni dalla loro annunciatissima morte, i partiti tornano centrali e vitali, grazie a Draghi. Spunti per un nuovo bipolarismo
Sui libri di storia, il 4 marzo del 2018 lo ricorderemo come il giorno in cui l’Italia è stata investita da uno tsunami politico, anzi antipolitico, che ha avuto l’effetto di cambiare il paese premiando l’agenda del nuovo movimentismo, archiviando il vecchio bipolarismo e bocciando la tradizionale forma del partitismo. A tre anni di distanza, è possibile che vi sia un altro 4 marzo candidato a entrare nei libri di storia, non tanto per ciò che rappresenta per l’Italia il passo indietro di Nicola Zingaretti ma per ciò che sta rappresentando per la politica italiana l’effetto Draghi.
Si è detto e ridetto che l’arrivo di un tecnico alla guida del governo avrebbe avuto come effetto inevitabile quello di commissariare la politica e di mortificare i partiti. La realtà ci sta però dicendo che l’effetto Draghi, almeno finora, è stato molto diverso. E anche grazie all’affermazione del realismo politico sulla cultura dello sfascismo si può dire che mai come oggi i partiti hanno sentito il bisogno di trovare una nuova identità per provare a uscire con tempismo dalle logiche stantie dello status quo. E il dato interessante è che le realtà più vivaci, più dinamiche, più attive, e dunque più tormentate, sono quelle che hanno scelto di archiviare ogni tendenza movimentistica.
In appena venti giorni di vita il governo Draghi ha avuto l’effetto (a) di cambiare in modo definitivo i connotati del M5s, che non sta discutendo solo di come avere più Conte e meno Dibba ma sta discutendo anche di come essere qualcosa di più simile a un partito e qualcosa di meno simile a un franchising della Casaleggio Associati. Ha avuto l’effetto (b) di cambiare in modo risolutivo i connotati della Lega, che non sta discutendo solo di come essere un po’ più europeista ma sta discutendo anche di come affidarsi un po’ meno al politico che voleva trasformare la Lega in un movimento, ovvero Salvini. E ha avuto l’effetto (c) di scuotere come un albero il Pd costringendolo a fare i conti con un problema tanto irrisolto quanto cruciale: non essere oggi con naturalezza il partito di Draghi, per chi ha a cuore la difesa dell’Europa, della competenza, della scienza, del lavoro, è come non esistere, è come essere parzialmente incinta.
Le trasformazioni generate dall’effetto Draghi, tuttavia, non si limitano alla semplice ridefinizione delle identità dei partiti ma arrivano oltre e ci permettono di affrontare un tema che potremmo provare a mettere a fuoco con una domanda semplice: c’è vita fuori dai partiti tradizionali? Possono piacere come possono non piacere ma allo stato attuale le realtà politiche intorno alle quali si sta sviluppando una maggiore energia sono i due partiti più “antichi” (la Lega è nata nel 1991, il Pd nel 2007).
E se la svolta europeista della Lega (che oggi sembra essere l’unico partito capace di rivendicare l’agenda Draghi pur essendo quello più lontano da Draghi) sarà davvero coerente. E se il percorso del Pd (che oggi sembra essere l’unico partito incapace di rivendicare l’agenda Draghi pur essendo quello meno lontano da Draghi) sarà davvero orientato alla riconquista della vecchia vocazione maggioritaria risulterà difficile ignorare la rivoluzione silenziosa con cui si sta trovando a fare i conti nel nostro paese: la fine della stagione del movimentismo, il ritorno della stagione dei partiti e la necessità per tutti, anche per i così detti moderati che non si riconoscono in questi partiti, di considerare un processo non reversibile l’affermazione progressiva di un bipolarismo di fatto, al centro del quale, al netto di quello che sarà il destino di Meloni, ci sono da una parte il Pd e dall’altra parte la Lega.
Meno antipolitica, più politica. L’effetto Draghi, in fondo, si spiega anche così.
Equilibri istituzionali