Agenda per ruffiani intelligenti
Una fronda a Draghi ci vuole, per aiutarlo a non soffocare nell'ovatta
L'adulazione sciocca non serve. Fare i gigioni delle élite, che palle
Alla lunga, un po’ di humour sarà l’ingrediente necessario per la minestra Draghi (collegatevi a Twitter, è uno spettacolo). Essere ruffiani è un’arte settecentesca, bisogna saperci fare
Come si fa a fare un po’ di fronda a Draghi? Non quella del cardinale di Retz, ché si trattava in realtà di guerra civile contro il Re di Francia, no, quella longanesiana, piraterie non cattive in costanza di regime. In effetti il regime c’è, è l’unità nazionale addirittura, è un piano performante di trasformazione del paese in Europa con un orizzonte di sei anni, dico di sei anni, è nel fatto indubitabile che l’unica alternativa credibile a Draghi è la sua incoronazione come re repubblicano.
Il ruffianesimo nazionale compunto, senza stile, di cui il principale esponente dello schieramento a noi avverso è senz’altro il giornalista Riotta, rende la fronda essenziale anche per Draghi stesso, per aiutarlo a non soffocare nell’ovatta, a non annegare nel brodo.
Draghi poi è uno spettacolo di intelligenza e di talento, disse che “lo stato sono io” quando batteva moneta a Francoforte, è “elusivo”, come dice Loquenzi in un accenno frondista ben piazzato, e dunque vive con la mascherina del carisma, non ha bisogno di parlare per adesso, manda avanti e fa giustamente i cazzi suoi con quelli della McKinsey, vorrei vedere, è lì per quello, mica per trattare con l’Infiltrato da esfiltrare e con il Pd meno uno. Però è lui che ristruttura il sistema politico, è affidata alla sua parabola la ricorrenza di un periodo di riforme serie, sfiducia costruttiva, legge elettorale, chissà che altro.
Il prosciugamento delle ghiandole salivari in piena azione si può fare, il Mose si può alzare e con risultati tali da stroncare la chiacchiera leccaiola. Basta Twitter, che come ho già avuto modo di dire è un social d’avanguardia, tacitiano, icastico, geniale e turbolento per essenza, una specie di manuale quotidiano per gli apoti, che non la bevono, a parte qualche banalotto, e se non ci fossero anche quelli sarebbe una tragedia, dovremmo vivere di e su Twitter, fine dei giornali, fine di tutta la preghiera quotidiana del mattino.
Il primo genio che non si scorda mai è quello che tuittò “mi licenzio subito prima che lo faccia Draghi”. Poi ci sono quelli che il generale Figliuolo aveva cominciato il piano nuovo e fortissimo di vaccinazione settimane prima della sua nomina, quelli che adorano Draghi ma con lo sberleffo ben piazzato, quando si può, quando non nuoce. Non faccio l’elenco. Collegatevi, è uno spettacolo. Sono sornioni, spiritosi, detestano la pappa del cuore, l’istituzionalizzazione del draghismo almeno quanto amano l’idea, apparentemente forsennata, che l’Italia sia governata da gente che sa quello che fa, da un gesuita del XVI secolo.
Alla lunga, vedrete, un po’ di humour sarà l’ingrediente necessario per la minestra Draghi, essere ruffiani è un’arte settecentesca, bisogna saperci fare, basta mica l’adulazione, ci va il corteggio delle buone battute, la bienséance, l’occhio vispo e lucido che vede anche gli aspetti minori del fenomeno con noncuranza e carità, le difficoltà, le tiritere, le continuità inevitabili. Dopodiché, è appena ovvio, difendere a petto in fuori la soluzione trovata dal geniaccio di Mattarella, elezioni subito senza Conte, Draghi senza mai elezioni, ecco un dovere civico al quale non ci si può sottrarre, ma con un tanto di allegria, con tanti Dpcm, con tanti ministri contiani, con gli undersecretaries che “will be enough”, come schiacciato in rete dal genio di De Filippi. Altrimenti, per stare lì gigioni a fare la parte delle élite, nel comitato direttivo del Bilderberg, tutti imbarcati sul Britannia, sai che palle.