"Rientrare nel Pd? C'è bisogno di un campo largo". Parla Epifani (LeU)
"Letta segretario? Le personalità autorevoli aiutano ma restano i nodi da sciogliere, a partire dall'alleanza con il M5s. I partitini al 2 per cento non vanno da nessuna parte. Evitiamo la frammentazione". Parla l'ex segretario dem
Roma. Neppure il tempo di nominarlo davvero nuovo segretario del Pd, Enrico Letta (lui ha chiesto 48 ore per pensarci), che in molti hanno iniziato a chiedersi: è l’uomo giusto per ricomporre la diaspora democratica? E riportare tra i dem, uno alla volta, tutti quelli che col tempo sono andati disperdendosi nei mille rivoli della sinistra italiana? Lo chiediamo a Guglielmo Epifani, che del Pd è stato segretario traghettatore nel 2013, e quattro anni più tardi lo ha abbandonato per confluire in Articolo uno, poi Liberi e Uguali. “Guardiamo con attenzione e rispetto al travaglio che stanno vivendo”, sottolinea al Foglio. “Da parte nostra c’è l’urgenza di superare la frammentazione, ricostruendo un campo largo, che è l’unico modo per essere competitivi con il centrodestra. Possiamo andare avanti con partitini che valgono il 2-3 per cento e che si dividono su qualsiasi cosa?”. Vuole dire che con un segretario come Letta sarebbe disposto a riprendere la tessera del Pd? “Il profilo delle persone, la loro storia e autorevolezza sono importanti. Ma altrettanto importanti sono i nodi da affrontare: se l’obiettivo è ricostruire un grande partito di centrosinistra, abbiamo bisogno di un contenitore che faccia veri congressi, abbia sedi di discussione e definisca una carta di diritti e doveri delle minoranze. Quando ho fatto il segretario l'unica cosa che non sono riuscito a capire è perché chiamassero congresso un metodo di scelta democratica del segretario in cui il dibattito tipico dei congressi in realtà finiva per passare in secondo piano. Poi c’è il tema delle alleanze: il Pd è stimato intorno al 13-14 per cento. Si pone per tutti il problema del rapporto e dell’accordo con il M5s, con cui secondo me abbiamo governato bene”.
Il passo indietro di Zingaretti è sembrato voler sciogliere proprio questi nodi. “Quello che poteva sembrare un colpo di testa, è stato un elemento di rottura forte”, sottolinea Epifani. “Appena avremo di fronte a noi la decisione che il Pd prenderà, è nostro interesse aprire col nuovo segretario un dialogo per affrontare insieme questa fase di ricostruzione”. Quand'è che si è rotto il Pd? "C'è chi sostiene, come il professor Massimo Cacciari, che alcuni nodi non siano stati sciolti sin dall'inizio. E che le forme organizzative del partito siano state pensate per dare forza al gruppo dirigente. Ci son stati tanti errori. Se siamo usciti dal Pd qualche responsabilità l'abbiamo individuata...Ma non abbiamo alcun interesse a che il Pd si indebolisca ancora di più. Prima si frena la frana e si mette in campo la volontà di ricostruire e meglio è". Di cosa ci sarebbe bisogno nel campo del centrosinistra? "Di un radicalismo nuovo", risponde Epifani. "Che non vuol dire populismo, ma una forma di radicalismo popolare, in grado di rappresentare gli umori profondi della nazione, tanto più in una fase sociale come questa. Ho il timore che il centro sinistra, che è forte solo in alcune parti della società, lasci le periferie in mano alla destra o al populismo, e l'interesse dei ceti produttivi al centrodestra, finendo per essere un campo di rappresentanza sociale debolissimo".
Si può dire che anche voi a sinistra del Pd avete sbagliato in questi anni? “Dobbiamo avere la consapevolezza dei limiti di tutti: c’è chi ha agito per scarsissima rappresentanza, chi per fazionismo o correntismo esasperato. Abbiamo bisogno di un gran bagno di realtà e umiltà”.