Televisione e nomine
Draghi alla prese con la "foresta Rai". Il valzer dei partiti e dei nuovi vertici
Per la commissione vigilanza Fdi vuole Daniela Santanchè
La corsa per sostituire i vertici e per incidere sui prossimi palinsesti. La Lega spinge per Elisabetta Ripa, ma si fanno i nomi di Roberto Sergio, Nicola Claudio e Nino Rizzo Nervo. Giorgetti avrà voce. Cosa farà Draghi? Un racconto dentro viale Mazzini
Roma. Vogliono afferrarla come sempre perché credono che anche per Mario Draghi cambiarla sarà impossibile. I partiti al governo sono cinque e significa che puntano ad avere un nuovo consigliere Rai a testa, che l’amministratore delegato, Fabrizio Salini, nominato dal precedente governo, debba essere mandato via e al più presto, e che al suo posto serva “immediatamente” una figura nuova. In Rai chiamano questo tempo senza tempo il “nostro semestre bianco”. C’è una spinta fortissima dei partiti per sostituire un management che è sopravvissuto a tre esecutivi, a cui Conte aveva promesso perfino la proroga, che in pratica si muove in maniera autonoma e che non rappresenta più nessuno. C’è il nome di una donna che la Lega sarebbe pronta a formulare per guidare la televisione pubblica. Si tratta di Elisabetta Ripa. E’ amministratrice delegata di Open Fiber e non è leghista ma è pronta diventarlo. Raccontano che parli con Giancarlo Giorgetti e dunque è molto probabile che non ci parli, ma farlo sapere è ormai un “passaporto”.
Non è il Mise che nomina i vertici Rai. E’ il Tesoro, insieme a Palazzo Chigi, ma Giorgetti non rinuncerà e farà valere il suo ruolo da ministro dello Sviluppo Economico. E’ una sua prerogativa. La competenza sulla Rai, le deleghe del suo ministero, che riguardano soprattutto la parte industriale, non saranno consegnate a nessun sottosegretario. Se ne occuperà personalmente. Ed è vero che l’avvicendamento Rai non “è all’ordine del giorno” e che non è tra le urgenze di Draghi. Ma lo è per la maggioranza. Con una richiesta formale, Pd, Lega, Italia Viva, Leu hanno sollecitato i presidenti della Camera, Roberto Fico, e del Senato, Elisabetta Casellati perché si “proceda subito con gli avvisi per la selezione dei nuovi consiglieri Rai”. Chiedono che non si perda più tempo e giorni. Se ne sono già persi dieci.
Michele Anzaldi, deputato di Iv, che si inoltra nella foresta dei regolamenti Rai, dice che “il mandato dei consiglieri scade con l’approvazione del Bilancio che va approvato entro il 30 aprile e che sessanta giorni prima di quella data si deve procedere con l’’avviso di selezione”. Oggi pomeriggio il cda Rai avrà come odg “il regolamento per l’elezione del consigliere dipendente Rai”. Ma se la politica non si decide perché devono accelerare loro? Vogliono tutti fare in fretta ma lentamente. Non c’è solo la nomina dei consiglieri del cda. Una questione aperta è la presidenza della commissione vigilanza che è affidata da inizio legislatura ad Alberto Barachini di Forza Italia che però a quel tempo era opposizione. Fdi la rivendica per Daniela Santanché ma in realtà non esiste (al contrario del Copasir) una norma che imponga a Barachini di lasciare. Si tratta solo di una prassi. In un precedente del tutto simile, durante il governo Monti, Sergio Zavoli rimase al suo posto.
E si sa che la Rai è un luogo kamasutra, ma nessuno ha ancora compreso come l’impossibile qui sia possibile. Nel cda Rai, in questo momento libertino, si è creato uno strano asse fra Fdi e M5s, una intesa fra il rappresentate di Giorgia Meloni, Andrea Rossi e Beatrice Coletti del M5s. Era intenzione dell’ex ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, scardinarlo prima che fosse scardinato luI. Non va fatto subito per far capire chi comanda, ma per poter disegnare i prossimi palinsesti che si presenteranno a fine giugno. C’è una Rai che non va solo presa in mano ma che registrerà 57 milioni di euro di mancate entrate, 40 milioni li perderà per il mancato introito dei canoni speciali. Sono quei canoni versati dagli alberghi. C’è un calo di pubblicità evidente, l’aggressività dei colossi internazionali. In Rai temono ora che il governo possa decidere di affidarsi al “modello McKinsey” e chiamare un uomo dei conti. L’esempio è Luigi Gubitosi durante l’esecutivo Monti.
E’ un’azienda, una televisione che da anni si rifiuta di stare al passo con la modernità, che si permette di annunciare riforme che mai realizza, fantasie spacciate per sicure novità. Alla Rai manca ancora un vero piano industriale e non è stato realizzato il piano di riforma delle news, mai partito un vero rilancio del digitale. Secondo la riforma Renzi, l’amministratore delegato deve essere affiancato da due direttori generali. Uno per la parte corporate (figura ricoperta oggi da Alberto Matassino) e un altro per il prodotto. Non è stato mai nominato. E ce ne sarebbe un gran bisogno. E’ uno schema a piramide che si renderà necessario. E chissà se il governo avrà il coraggio di spiegare e modificare in parte quella che secondo molti rimane la vera anomalia della Rai, un’altra tara ideologica che ha allontanato finora i migliori manager. E’ il tetto dei 240 mila euro che è una stupidaggine anticasta. Nessun uomo di industria, che sia un vero uomo d’industria, accetterebbe di lavorare a tempo pieno per un’azienda che ha quasi 13 mila dipendenti e propaggini in tutta Italia. Come si augura un direttore di rete “sarebbe il caso di intervenire sulla legge Madia che impedisce ai pensionati di collaborare. Se si vuole lasciare il tetto e avere professionalità indipendenti, l’unico modo è modificare”.
Al Tg 1 si è sempre parlato di un ritorno di Marcello Sorgi alla direzione. Esiste un pezzo di mondo Rai che adesso tifa per la nomina interna “perché in questa giungla capace di orientarsi”. Per il ruolo di amministratore delegato si fa invece il nome di Roberto Sergio, direttore di Radio Rai, e Nicola Claudio, direttore governance e segreteria societaria. Eleonora Andreatta, a Netflix, vorrebbe rientrare. C’è Nino Rizzo Nervo che non solo, assicurano, sarebbe una bella figura, e competente, ma anche gradita a Dario Franceschini. Saranno Roberto Garofoli e Antonio Funiciello che proveranno a ordinare l’ingovernabile per conto del premier. In Rai questo governo “è chiamato la terza ondata”. E’ l’unico posto del paese dove è stata raggiunta l’immunità di gregge.