Tra Zinga e Letta

Sinistra in viaggio. I consigli di Michele Serra

"Se il Pd ha fatto fuori una decina di segretari in pochi anni non è perché li ha disarcionati, è perché li ha ingoiati come un buco nero"

Marianna Rizzini

"Nessuno sa bene cos’è il Pd, se non per quell’aura governativa, da ‘partito responsabile’, che rischia di farlo sembrare disposto a tutto, fuorché a decidere qualcosa di strategico", dice Serra.

C’è la sinistra che si guarda allo specchio all’alba del governo Draghi, tra le dimissioni di Nicola Zingaretti e il ritorno di Enrico Letta. E l’immagine riflessa, a seconda dei momenti, rimanda all’incubo, al sogno, alla realpolitik o alla triste realtà. Poi c’è Michele Serra, storica firma dell’Unità e di Tango negli anni meravigliosi di Sergio Staino e di Vincino, e più avanti fondatore di Cuore e direttore dell’Unità: l’uomo che ha portato tante volte la sinistra a ridere di se stessa. Ma oggi ridere è difficile. Intanto bisogna capire che cosa davvero stanno dicendo al Pd le dimissioni di Zingaretti, a partire dall’alleanza con i Cinque Stelle e dal rapporto con Matteo Renzi.

 

E per Michele Serra il gesto del segretario dice “che nessuna leadership è forte se non è forte l’identità del partito. Se il Pd ha fatto fuori una decina di segretari in pochi anni non è perché li ha disarcionati come un destriero troppo focoso, è perché li ha ingoiati come un buco nero. Come le sabbie mobili. Non è un terreno abbastanza solido. Nessuno sa bene cos’è il Pd, se non per quell’aura governativa, da ‘partito responsabile’, che rischia di farlo sembrare disposto a tutto, fuorché a decidere qualcosa di strategico. Perfino chiedersi se stare con il M5s o con Renzi e Calenda rischia di essere una domanda vuota, se non si sa prima qual è il proprio scopo politico. Governare non è mai stato uno scopo. E’ un mezzo”.

 

Intanto è piombata sul tavolo l’ipotesi Letta segretario: chissà se la sinistra transfuga, quella di Bersani, con lui può rientrare. “Letta a me sembra un poco un Draghi interno”, dice Serra, “uno molto bravo, molto per bene, che sa addirittura le lingue. Magari, se accetta, sarà così bravo da autocongelare la sua indole politica, sicuramente molto ostile ai Cinque stelle, per tenere insieme le varie correnti. Certo non così bravo da inventarsi una identità politica che tenga insieme i cocci: per quella ci vorrebbe un congresso vero, con vincitori chiari e sconfitti leali che poi non sfascino il partito. Ma i congressi veri nascono dal territorio, dalla strada, dai posti di lavoro. Non conosco abbastanza il Pd da poter dire se è ancora in grado di mobilitare una base vera e propria, non solamente le truppe di apparato. Certo se vedessi le Sardine arrivare alla mia porta, penserei che sono un partito fortunato, ancora desiderato nonostante tutto. Piacciano o non piacciano, le Sardine sono una delle poche recenti manifestazioni della carne dentro una politica immateriale”.

 

Società civile? Quella che adesso (vedi Gustavo Zagrebelsky) è tornata a firmare appelli per “la democrazia in pericolo”? Serra da anni non li firma, gli appelli: “Mi affatica esserci e mi sembra sempre di parlare a vanvera. Ma non sono un buon esempio e non ho niente da rimproverare a chi si sporca le mani d’inchiostro. Mi viene solo da dire che se la sinistra sapesse produrre politica nella stessa misura della sua produzione di parole, sarebbe già quasi guarita. Mi ha profondamente colpito il fatto che sia stata la magistratura a fare qualche passo importante contro quello schifo che è lo sfruttamento dei rider. Non la politica, non la sinistra. Idem per il caporalato agricolo. La sinistra è disossata, e lo è perché anche la migliore indole amministrativa non potrà mai surrogare la presenza sociale. Se fossi lo staff di Letta, perché purtroppo temo che anche lui ne abbia uno, gli direi: vai così come sei, completo di giacca e occhialini, sui campi di pomodori, questa estate. Diventeresti popolare come Francesco in Iraq”.

 

Resta da capire dove si va. “Non credo che un partito di massa debba avere una identità ideologica. Ma deve esserci, questa sì, una ‘faccia’ riconoscibile, e non parlo della faccia del leader: parlo dell’identità politica e culturale del partito, pochi principi saldi, la libertà, l’uguaglianza, i diritti civili e i doveri civili, pagare le tasse in cima a tutti. Non serve l’impossibile per far sentire un poco meglio rappresentati milioni di elettori. Anche per questo Zingaretti è stato così criticato quando ha fatto l’elogio della D’Urso, ovvero della televisione trash. Alzare la qualità, e per tutti, è sempre stata per la sinistra una vera e propria ossessione. Per farla semplice, al populismo il popolo piace così com’è, mentre la sinistra è nata con il proposito di cambiare in meglio le condizioni di vita di tutti. E’ la differenza decisiva, blandire ‘la gente’ per avere i voti, o considerarla degna di una discussione seria su come si vive, in che cosa si crede. La scelta se allearsi con Grillo o con Calenda viene dopo. Molto dopo”. 
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.