Vonino e gli altri
Centrini e destini
Ma a cosa servono, davvero, i picccoli partiti che si affollano al centro?
Le scissioni dell'atomo a sinistra sono la norma (vedi Fratoianni) e pure nella diaspora dei pannelliani. Poi, da Tabacci a Calenda, da Toti a Renzi, c'è tutto un pulviscolo di centrini mobili in cerca di collocazione. Con più leader che voti. Ma nell'epoca di Draghi (e se ci riuscirà del Pd di Letta) che spazio avranno?
Ad esempio Fratoianni, sfruttando l’ultima domenica di libera uscita per dare aria ai pensieri, ha detto a Sky che “questo governo è 2 mesi che fa aspettare il #DlRistori”. Peccato che il governo Draghi sia in carica da un mese soltanto. Evidentemente le scissioni dell’atomo producono la perdita di senso del tempo e pure dello spazio: a sinistra, ma anche al centro, il luogo instabile in cui fluttua il pulviscolo dei centrini che si riproducono in varianti infinite e infinitesimali. Sinistra italiana s’è appena separata da Leu, che invece ha preferito restare sola col suo ministro, ma Fratoianni si sente di portare “la voce di tanti cittadini delusi”. Tanti. Le scissioni a sinistra non sono una novità, e nemmeno nella diaspora pannelliana. Fa comunque una certa impressione quella consumatasi, sempre nell’ultima domenica d’aria, dentro +Europa, partito tutt’altro che sinistrorso ma di ancoraggio euro-centrista (via Tabacci) quotato al 2 per cento, con tre deputati ante scissione e iscritti nel numero delle centinaia.
La lite furibonda che ha portato allo strappo di Bonino e Della Vedova gira attorno a un presunto dirigismo, alle regole congressuali e alle tessere: poco commendevole, per una scialuppa liberale che già aveva subìto la scissione di Tabacci ai tempi del no di Bonino al Conte due. Ma intanto due spezzoni di un ex partitino che ora si scinde per la terza volta hanno due poltrone da viceministro. Non è l’unico caso di lievitazione magica. Basta guardare la lista dei sottosegretari (la lista è vita, diceva Schindler). Italia viva due, uno Leu, uno Noi con l’Italia e uno Articolo 1. Caso a parte è l’Udc, il più longevo cespuglio della diaspora dc. I centristi per antonomasia non si sono ancora fatti passare il magone dopo l’esclusione di Paola Binetti dal governo. E dire che la povera Binetti s’era fatta costruttrice ed europeista pur di saltare, con Tabacci, nel Conte tre. Un caos. Però, guardando più in là, si può capire il vespaio impazzito degli ultimi tempi.
L’arrivo del governo Draghi li ha comunque resi irrilevanti, giusto le miserie di qualche sottosegretariato (ah, i bei tempi in cui l’Ncd di Alfano decideva la vita o la morte di un governo). E soprattutto, in chiave prospettica, che destino avranno questi centri mobili incapaci di fare un centro? Ad esempio, quello che ha il leader più performante, cioè Matteo Renzi, quanto varrà alle prossime elezioni? Da anni le varianti sono dichiararsi responsabili, riformisti, europeisti, moderati, responsabili. Sempre a galla. Poi ci sono i percorsi privati. Maria Rosaria Rossi aveva mollato nientemeno che il Cavaliere per saltare sulla scialuppa costruttivista, ma ora ha aderito a Cambiamo! di Toti, altro modulo marziano che ancora non ha trovato la sua orbita.
Poi c’è il partito personale di Calenda, Azione, che ancora non ha trovato il pianeta su cui puntare. Facciamo Eco-Federazione dei Verdi s’è trovata d’un tratto con un nuovo aspirante leader, Beppe Sala, che però si sente più verde europeo. Tutto questo pulviscolo, liofilizzato da un sistema politico mai stato maggioritario ma nemmeno proporzionale, che non ha più destra né sinistra ma nemmeno un centro (il centro per un poco lo furono Berlusconi e Prodi) non ha più senso. Ora c’è una coalizione che sosterrà per il tempo necessario Draghi, poi si spampanerà un po’ tutto e forse torneranno a contare i partiti. Quelli coi voti. Si chiedeva ieri Angelo Panebianco sul Corriere: “Che ne sarà dei progetti neocentristi coltivati da molti (non solo Matteo Renzi) in questi anni?”. Dipenderà appunto da quanto peserà l’effetto Draghi e da quanto Letta riuscirà a rimettere al centro il Pd. Il rischio, scrive Panebianco, è che al centro “si accalcherebbero più leader che elettori”. In attesa, con Letta e Tabacci, non resta che constatare che la sinistra dc ha ancora il suo perché.