Il retroscena
Franceschini-Di Maio-Giorgetti: il tridente politico prende le misure a Draghi
I tre ministri fanno squadra e si danno forza in vista delle nomina: la loro unione è la risposta al triumvirato tecnico premier-Garofoli-Franco
I ministri di Pd, M5s e Lega si ritrovano a remare tutti dalla stessa parte. Intanto la Farnesina diventa sempre di più un luogo di larghe relazioni trasversali
Specificano: nessuna ostilità, ma un patto di sopravvivenza sì. Se Palazzo Chigi ormai si muove intorno al solido triangolo tecnico Draghi-Garofoli-Franco, anche la politica prova a prendere le misure alla nuova epoca. E si spiega così dunque la fitta rete di contatti che da un mese coinvolge Franceschini, Di Maio e Giorgetti. Le tre punte governative di Pd, M5s e Lega si fanno visita l’uno con l’altro, provano a creare massa critica, tentano strategie comuni per le partite che contano (vedi le nomine). Il tutto in una sorta di romanissimo areggime che t’areggo.
Un triumvirato - “FraDiGi” - che si confronta di continuo con l’altro tridente, quello che alberga nelle stanze del governo, cercando di non soccombere. Ma magari di contaminarsi. I tre ministri vivono parallelamente la ristrutturazione dei partiti da cui provengono, ma con diverse sfumature. Se Giancarlo Giorgetti deve placare, nel più classico gioco delle parti, la furia di Matteo Salvini e Dario Franceschini ha a che fare con l’arrivo dell’indipendente Enrico Letta al Nazareno, per i 5 stelle il film è diverso. Il capo in pectore, si sa, è Giuseppe Conte, alle prese però con le scartoffie, gli statuti e i Davide Casaleggio che lo dividono dalla guida dei grillini. Tanto che ha deciso di prendersi altro tempo: parlerà dopo Pasqua. Forte magari di un nuovo simbolo e di un nuovo statuto. Nel frattempo, Movimento lento. E così non rimane, ancora una volta, Di Maio. Premessa: il ministro degli Esteri si muove tra queste due linee con un vantaggio: ha governato sia con la Lega sia con il Pd.
E nel frattempo continua a tessere la sua tela alla Farnesina, nata per ospitare la sede del Partito nazionale fascista, ma poi diventata subito sede del ministero degli Esteri e dunque crocevia per vocazione di incontri e relazioni, scambi e diplomazie. Di Maio, il primo a sdoganare Draghi nel M5s, continua a vedere e parlare con persone riparato dai marmi razionalisti del suo dicastero. Ha cambiato strategia da quando è ministro per la terza volta: interviene poco in pubblico, ma riceve molto in privato. Ministri uscenti e in arrivo, ex e nuovi commissari, prefetti e non solo. In tanti sono passati e continuano a passare per la Farnesina, dove Di Maio riceve e ascolta da circa un mese decine di persone al giorno.
Da Benassi ad Arcuri, passando per gli incontri con Paola Severino, Maurizio Martina (proprio da Di Maio nominato di recente vicedirettore aggiunto della Fao) e poi i contatti con Gianni Letta e Goffredo Bettini, con il quale il grillino ha coordinato importanti passi nel passaggio tra il Conte II e il governo Draghi. Tutte le strade insomma portano alla Farnesina. Anche quelle degli ultimi ambasciatori nominati nelle principali capitali mondiali, tutti scelti e voluti da Di Maio con la sponda di Elisabetta Belloni e del nuovo consigliere diplomatico del premier Alberto Mattiolo.
Anche il raccordo con la delegazione grillina passa da qui, a partire dal super ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani, tanto voluto da Beppe Grillo. Tutte le strade insomma portano alla Farnesina. A poche ore dall’annuncio della sua candidatura alla segreteria dem, Di Maio si è sentito con Enrico Letta, consapevole che molto passi ancora per il via libera dell’ex capo M5s. In questa cornice ecco i contatti del ministro degli Esteri proprio con Franceschini e Giorgetti. Quest’ultimo è stato avvistato anche ai tempi del governo Conte alla Farnesina, mentre il ministro della Cultura la settimana scorsa ha incontrato il collega pentastellato al Collegio romano. I tre parlano di legge elettorale, ma soprattutto di nomine nelle grandi partecipate di stato.
I nomi che circolano sono questi: Dario Scannapieco dalla Bei potrebbe andare, sostenuto dal premier, a Cdp, dove Fabrizio Palermo punta però a una riconferma. Se Claudio De Scalzi dovesse uscire dall’Eni il nome che gira nelle stanze del governo è quello di Marco Alverà, ad di Snam.
Si discute anche in queste ore del futuro di Leonardo e soprattutto di Alessandro Profumo che potrebbe essere sostituito magari proprio da Palermo. Tutto si muove, tutto è fluido. In campo due triumvirati: uno tecnico e l’altro politico. Ci sarà da trovare una sintesi. In mezzo cinquecento nomine.