L'analisi
La geografia del Pd di Letta, che prova a usare il "metodo Draghi"
Otto uomini e otto donne. Solo Provenzano e Boccia dal sud. Letta mette i capicorrente di fronte al fatto compiuto ma usa il Cencelli. Piazza Grande si rimpicciolisce. Base riformista, poco entusiasta, ora prova a blindare Marcucci
Nessun romano e molto nord. L'ex premier recupera le sue truppe disperse, prova a intestarsi l'area riformista del partito. I mugugni di Guerini e Zingaretti. Orlando cresce, Franceschini no. Entrano Orfini e Cuperlo, e alcuni tecnici del giro di VeDrò
Quel che è certo è che si è ricordato di chi gli è stato vicino, anche in epoche remote. E così, nel comporre la sua segreteria (16 componenti, equilibrio perfetto di genere, niente Roma, tanto nord e ben poco sud), Enrico Letta ha recuperato, pescandoli sia nel mondo estraneo alla politica sia all'interno delle varie aree del Pd, molti di quelli che un tempo furono suoi fedelissimi.
Ecco allora Enrico Borghi, attualmente colonnello gueriniano e membro del Copasir, scelto come responsabile per la Sicurezza forse anche in virtù di un’antica vicinanza al mondo lettiano, lui che fu anche consigliere politico dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con Prodi premier, tra il 2006 e il 2008. E poi Francesco Boccia, lato sinistro del partito, ministro uscente che s’occuperà degli Enti locali, da sempre legato all’attuale segretario. Ma anche negli innesti civici – una delle novità della squadra – Letta chiama con sé quel Mauro Berruto, ex ct dell’Italvolley un tempo molto vicino a Matteo Renzi, che da tempo gravita intorno a VeDrò. Lo Stesso think tank che spesso ha visto la presenza del compositore Filippo Del Corno, assessore a Milano e vicino agli orlandiani che avrà le deleghe alla Cultura. Di Sviluppo economico e pmi s’occuperà invece Cesare Fumagalli, per quindici anni segretario nazionale di Confartigianato imprese, 67enne lecchese che da Letta era stato precettato per un incarico di governo già nel febbraio del 2014, in vista di un possibile rimpasto che avrebbe dovuto, nelle speranze dell’allora premier, scongiurare l’ascesa romana del fiorentino, quello che lo invitava a “stare sereno”. E molto amico di Letta è anche Antonio Nicita, ordinario di Economia alla Lumsa che ha da poco terminato il suo mandato all’Agcom, dove in verità entrò in quota Matteo Orfini.
Insomma c’è tutta un’area lettiana, riformista e con un occhio al centro, che pare ritrovarsi ora proprio intorno al nuovo segretario (e al suo fidato Marco Meloni, rimasto fuori dalla segreteria a gestire la macchina e a filare la lana dietro le quinte), in quel campo libdem che trova anche nella vicesegretaria Irene Tinagli un nuovo punto di riferimento estraneo alla logica correntizia. E questo spiega, forse, anche il ridimensionamento delle aspettative del correntone di Base riformista, che vede Lorenzo Guerini e Luca Lotti costretti ad accontentarsi, a cose fatte, del solo Borghi in segreteria, e determinati a questo punto a conservare la guida del gruppo del Senato con Andrea Marcucci, che pure gioca spesso da battitore libero.
E però Letta ha applicato il “metodo Draghi” un po’ con tutti i vari capi corrente, se è vero che con tutti si è confrontato ma da nessuno si è fatto proporre o imporre dei nomi, informandoli quando le decisioni erano già prese. E così, come molti ministri all’epoca della formazione del governo, anche persone come Anna Rossomando, vicepresidente del Pd in quota Andrea Orlando, di essere diventata la responsabile Giustizia l’ha scoperto direttamente dalla lettura del comunicato stampa del Nazareno. Lo stesso Gianni Cuperlo, che come vedremo torna con un piede nel Nazareno, ci dice che non ne sapeva nulla: "Della nuova segreteria ho appreso dalle agenzie".
Il che testimonia, comunque, di un Cencelli applicato con sapienza democristiana, da parte di Letta. Che include in segreteria anche esponenti delle aree più piccole: ed ecco allora la orfiniana Chiara Gribaudo (Missione giovani, qualsiasi cosa voglia dire) e la cuperliana Susanna Cenni (Agricoltura); Sandra Zampa, non riconfermata al ministero della Salute, rappresenta i prodiani, mentre Lia Quartapelle appare come la portavoce di quegli zingarettiani eterodossi che non avevano condiviso l’esaltazione di Giuseppe Conte (e che proprio guardando al segretario potrebbero trovare una nuova appartenenza). AreaDem di Dario Franceschini conferma Chiara Braga alla Transizione ecologica e inserisce anche la modenese Manuela Ghizzoni all’Istruzione. Orlando ne esce rafforzato: diventa il ministro del Lavoro (con Antonio Misiani all’Economia e la già citata Rossomando, oltreché col suo fidato Peppe Provenzano promosso vicesegretario) il baricento della sinistra del partito. Si sfalda invece un po’ quel conglomerato di correnti che era la Piazza Grande di Nicola Zingaretti, che ottiene la riconferma dei soli Stefano Vaccari e Cecilia D’Elia, ma che soprattutto vede la deromanizzazione di un partito che, sotto la sua direzione, era stato molto capitolino. Nessuno che viva dentro il Raccordo entra nel Nazareno di Letta. E anche questa, per il Pd, è una prima volta.