Scuola e lavoro, la svolta di Letta passa da qui. Un dubbio: il Pd lo seguirà?

Sergio Belardinelli

Guardare oltre il voto ai 16enni e lo ius soli. È arrivato, speriamo, il tempo del realismo (magari anche della fraternità). E Letta ha dato diversi segnali incoraggianti in questa direzione

Da intellettuale di rango quale è, Enrico Letta conosce bene le sfide con le quali l’Europa e l’Italia dovranno fare i conti nei prossimi mesi, sa metterci del suo in modo anche significativo nella loro interpretazione, ma ha di fronte un compito politico difficilissimo, per assolvere il quale la finezza dell’analisi politico-culturale potrebbe non essere sufficiente. A proposito di sfide, era pressoché scontato che il suo discorso d’investitura a nuovo segretario del Pd si muovesse sulla falsariga della pandemia e della nuova centralità dell’Europa. Ma il registro del suo discorso non è apparso scontato affatto. Senza sottacere che stiamo attraversando l’anno peggiore della nostra storia postbellica, ha soprattutto cercato di incoraggiare alla speranza insistendo sulle possibili opportunità che si aprono sia sul fronte geopolitico, sia su quello delle politiche nazionali, regionali e locali.

 

La pandemia sta facendo emergere problemi nuovi e dimensioni nuove di problemi vecchi. Il lavoro, la questione femminile, il patto tra le generazioni, il ruolo e l’assetto dello stato, la necessità di un approccio pragmatico ai problemi supportato da competenze scientifiche, nonché uno scenario che con sempre maggiore urgenza ci chiede di venire in chiaro in ordine al tipo di società nella quale vogliamo vivere, tutti questi problemi premono oggi con maggiore urgenza di ieri. Non è più tempo di universalismi astratti, né di sovranismi beceri tipo quelli che abbiamo visto all’opera in questi ultimi trent’anni. E’ arrivato, speriamo, il tempo del realismo (magari anche della fraternità). E Letta ha dato diversi segnali incoraggianti in questa direzione. 

  
A tal proposito, due passaggi del suo discorso mi sono sembrati particolarmente significativi: quello in cui, parlando di scuola, ha detto che l’insegnante deve tornare a essere il mestiere più bello del mondo e quello in cui ha posto il problema della partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Di solito a sinistra, quando si parla di scuola, si è soliti porre l’attenzione su altri temi, temi per lo più ideologico-sindacali che hanno condotto a riforme il più delle volte cervellotiche, lontane dalla realtà, e che sicuramente hanno contribuito all’emergenza educativa che ci attanaglia da molti anni. L’appello rivolto da Letta agli insegnanti affinché ritrovino l’orgoglio della loro missione (che di questo si tratta, non di un lavoro qualsiasi), a sentirla come un privilegio, fa intravvedere invece una prospettiva diversa, a mio avviso la più realistica, per rilanciare sia la funzione educativa della scuola, sia il riconoscimento sociale di coloro che ci lavorano. Oggi come ieri c’è insomma bisogno di maestri, di donne e uomini colti che sentano il loro ruolo come un motivo di soddisfazione soprattutto davanti a se stessi. Un privilegio, appunto.

  
Quanto al passaggio del discorso in cui Letta ha parlato di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa, lo considero come il rilancio di un tema che, senza attaccare in alcun modo le dinamiche del mercato capitalistico (prima o poi si dovrà pur smetterla di demonizzarlo), potrebbe rilanciare sia la produttività del lavoro sia relazioni sindacali, diciamo così, più responsabili. In sostanza si tratta di un tema che potrebbe piacere non soltanto a sinistra, e sul quale farebbero bene ad aprire una riflessione seria sia il sindacato sia confindustria. Il fatto che Letta lo abbia affrontato senza mai tirare in ballo le colpe del liberismo mi sembra un passo avanti molto significativo.
Ma la vera domanda è: su questi temi, Letta, troverà ascolto nel Pd? A tal proposito non mi sembra di buon auspicio il fatto che lo ius soli e il voto ai sedicenni siano stati i temi del suo discorso su cui maggiormente in questi giorni si è concentrata l’attenzione dell’opinione pubblica (lui stesso vi ha contribuito domenica sera nella trasmissione televisiva di Fabio Fazio). Temi importanti, per carità. Ma sono anche temi che stanno già aprendo un contenzioso in questo momento forse inopportuno all’interno del governo Draghi e che forse non riflettono in modo adeguato quella determinazione a fare un nuovo Pd che è la ragione del ritorno di Letta sulla scena politica italiana. 
Su quest’ultimo punto che riguarda un po’ la declinazione e l’allargamento dei temi identitari del partito credo che valga la pena lavorare molto, specialmente se consideriamo la realtà del partito col quale Letta si trova a misurarsi e la vera sfida politica di cui ha deciso di farsi carico: riuscire a fare del Pd il principale partito di una coalizione che possa vincere le prossime elezioni e governare finalmente il paese legittimati dalla vittoria. Un’elezione a segretario con ottocentosessanta voti favorevoli, quaranta astenuti e due soli contrari potrebbe far pensare che tutti nel partito sono con lui, pronti a seguirlo sulla strada del radicale rinnovamento, ma sembrava così anche con Zingaretti e sappiamo bene come è andata a finire e, soprattutto, quali sono state le motivazioni delle sue dimissioni. 

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