(foto Unsplash)

Le idee gloriose ridotte a tonterias

Giuliano Ferrara

Draghi o no, la riformulazione delle categorie liberali è un fatto

Che i libbberali o quel che ne resta perdano quello stigma della tripla bi, a intendere enfiagione retorica e ideologismo posticcio, è interesse di tutti. Lo abbiamo visto in recenti occasioni più o meno serie o goliardiche. A convegno, paiono giocherelloni che non sanno che fare a parte perdere e ritrovarsi happy few all’apericena. Inutile fare finta di non accorgersene. Nel campo delle idee modernizzatrici, globalizzatrici, riformiste e liberali si è sedimentata una specie di penuria di realismo fatta più amara dall’avanzare dello stato, di corporazioni e poteri intermediari un po’ in tutti i settori della vita civile, specie in accompagno alla pandemia che cambia e ristruttura anche i rapporti sociali ma non solo.

 

Quando sento parlare di Ken Loach, di Noam Chomsky o di Thomas Piketty metto mano alla pistola e invoco un governo mondiale delle multinazionali. Le mie amate guerre culturali le ho dichiarate perdute non appena si è passati da una comprensione individualista e di società aperta dei grandi problemi del millennio, aborto famiglia genere e ingegneria genetica, alla predicazione polverosa dei pope e di altri curatori fallimentari della conventicola destrorsa e reazionaria. Però questo è: la fiducia nei mercati, nell’intraprendenza da start up nation, nel gioco libero delle libertà e responsabilità, è oggi legittimamente subordinata alla presenza sempre meno ingombrante, sempre più necessaria, dello stato. Quel che non hanno potuto le infide e talvolta losche campagne contro il mercatismo, che miravano al cuore della rivoluzione commerciale, finanziaria e tecnologica del nuovo secolo, ha potuto la realtà non solo virale di un’idea del capitalismo come qualcosa da riformare e tenere a bada. Chi voleva speculare per basse ragioni parapolitiche contro i criteri rivoluzionari imposti alla fine del Novecento dalle grandi avventure della Thatcher e di Reagan ha perduto la battaglia contro il cosiddetto liberismo sfrenato, ma la riformulazione di fatto e di principio delle principali categorie liberali è un fatto. Ignorarlo vuol dire farsi del male e rinunciare a capire, vuol dire abbracciare un’ideologia banalmente stylish, cercare la moda nel vintage.

 

C’è poi una complicazione italiana notevole. Matteo Renzi aveva sequestrato di forza e di consenso l’area riformista e l’aveva rilanciata con talento e grande ambizione, fino al combinato disposto di riforma costituzionale e riforma elettorale. Quel progetto si è arenato. Non è una questione di colpe, e nemmeno di intrinseca fragilità del potere italiano, anche quando è messo al servizio di una modernizzazione politica; basta osservare la parabola di Emmanuel Macron, che aveva ripreso e rilanciato quell’impostazione in un paese fieramente restio a ogni forma di liberalismo non egualitario; ebbene, sì, va detto, Macron può vivere politicamente e sopravvivere, può anche rivincere, ma i colpi che ha subìto anche il suo riformismo dall’alto si vedono tutti, sono misurabili e spiegabili. Intorno al liberalismo riformista, poi, in Italia è fiorita e rifiorita e tremendamente sfiorita tutta una coterie ideologistica e pulviscolare che, passato l’archetipo Pannella, rifluito il tentativo montiano di depoliticizzare la democrazia, si è incarnata in un personale di risulta, in organizzazioni francamente ridicole, in una specie di costellazione di partiti segnaposto di cui il liberalismo non è responsabile ma di cui deve sopportare le conseguenze.

 

Ora la chiamano, con la solita esagerazione autolesionista, “area Draghi”, significando di non aver capito proprio l’essenziale: Draghi è una cultura e una pratica di mercato, finanziaria, trasformativa e riformista che si istituzionalizza, e vince oggi le sue battaglie solo dentro le istituzioni centrali, e l’ultima battaglia è un esperimento politico nazionale, di grande valore e di assoluta emergenza, che non ha molto a che vedere con gli orpelli di chi cerca convulsamente e fresconamente un nuovo fronte liberale da aprire. Chiedere proprio a Draghi, e al suo contesto di prudente agibilità politica e disciplinamento di un paese riottoso, di rinverdire e rianimare certe idee gloriose nel frattempo ridotte a tonterias e a luoghi comuni male invecchiati non è rendergli un buon servizio, tra l’altro. C’è bisogno di una difesa e di un consolidamento di pratiche e idee liberali e riformiste, ma ci vogliono tempo e astuzia, non piccolo militantismo.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.