È il governo Draghi-Colao
Chi ha in mano i 200 mld europei? I prossimi sei anni spiegati con una temuta tabella Excel che si trova sulla scrivania del vero ad del governo Draghi: Colao. Chi comanda sul Recovery? Un'indagine
Il Cfo è chiaro, ma chi è l’ad? Non si può capire quale sarà il destino del Recovery italiano senza raccontare un dettaglio importante presente in un file che si trova all’interno del computer di Vittorio Colao. I ministri del governo Draghi conoscono bene quel file, un file excel, e per non chiamarlo come meriterebbe di essere chiamato, ovvero “il pagellone”, hanno accettato di chiamarlo con un nome apparentemente più neutro, ovvero “il tabellone”. Il futuro del governo Draghi e in buona parte il futuro dell’Italia passa naturalmente dai vaccini, dalla capacità dell’Europa di averne di più, dalla capacità dello stato centrale di distribuirne di più e dalla capacità delle regioni di somministrare le dosi seguendo il piano vaccinale e non seguendo invece, come ha detto bene ieri il presidente del Consiglio al Senato, le richieste dei gruppi di pressione che “vantano priorità probabilmente in base a qualche loro forza contrattuale”.
Il futuro dell’Italia passa da qui, naturalmente, ma passa anche dalla capacità del governo di usare bene i trentasei giorni che ci restano per scrivere il Recovery plan indirizzando i 191 miliardi che il governo riceverà nei prossimi sei anni per costruire l’agenda del futuro e non solo per riordinare i problemi del passato. E per capire in che modo il governo Draghi si sta attrezzando per provare a rendere il Recovery all’altezza delle aspettative bisogna provare a entrare con la testa nel computer di Vittorio Colao, mettere a fuoco il suo temutissimo file excel e capire qual è il percorso seguito dal governo per non presentarsi impreparato all’appuntamento del Recovery. Un appuntamento al quale l’Italia arriva con una buona dose di ritardo, considerando che il Piano francese – che prevede risorse per 100 miliardi di euro, pari a un terzo del bilancio annuale dello stato, finanziato, a differenza di altri paesi come l’Italia, con risorse che arrivano per metà dai finanziamenti dello stato francese, e non europei – è stato presentato lo scorso 3 settembre ed è stato approvato il 20 dicembre (“Plan de relance – plan d’urgence”); considerando che il governo tedesco ha approvato la bozza del Piano di ripresa e resilienza (“Aufbau- und Resilienzplan”) il 16 dicembre 2020; e considerando che il piano spagnolo è stato presentato dal governo Sánchez lo scorso 7 ottobre (“España Puede: Plan de Recuperación, Transformación y Resiliencia”). Quella italiana è una questione di metodo, per quanto riguarda il presente, ma è anche una questione politica per quel che riguarda il futuro. Perché il punto è sempre quello: il Cfo è chiaro, ma chi è l’ad? Al momento le cose funzionano così. Ciascun ministero prepara la sua bozza di Recovery e ogni ministero invia la sua bozza alla casella di posta elettronica del collettore del Recovery: Carmine Di Nuzzo, dirigente della Ragioneria dello stato ([email protected]). Di Nuzzo guida la squadra di missione che si occupa del Recovery plan e ha la responsabilità sull’attività di rendicontazione: si occupa dei numeri, di ciò che torna, di ciò che non torna, dei saldi che funzionano e di quelli che non funzionano e una volta individuate le criticità dei singoli piani invia i suoi appunti ai responsabili del piano Recovery all’interno dei ministeri (i capi di gabinetto e i responsabili individuati da ogni singolo ministero per la gestione del Recovery). I ministeri studiano i rilievi della squadra di Di Nuzzo e poi rimandano il testo corretto al Mef. Di volta in volta, poi, la squadra che opera sotto il controllo del ministro dell’Economia, Daniele Franco, che sul merito dei piani presentati dai singoli ministri ha scelto di non mettere bocca, invia tutto a Bruxelles, alla direzione generale per il sostegno alle riforme strutturali (Dg Reform) che aiuta i paesi dell’Ue a progettare e attuare le riforme strutturali che intendono costruire. A capo del Dg Reform c’è un altro degli epurati dal governo gialloverde: Mario Nava, ex capo della Consob, sostituito poi da Paolo Savona. All’epoca di quel governo fu epurato lui, Nava, ma fu epurato anche Daniele Franco, che nel 2019 era ragioniere generale dello stato, e insieme a lui fu epurato anche Roberto Garofoli, ex capo di gabinetto dell’allora ministro dell’Economia Giovanni Tria.
Ieri messi ai margini dalla politica, oggi tornati a essere centrali per scrivere i piani che guideranno l’Italia politica dei prossimi anni. Nava, all’intero di questo processo, è colui che formalmente entra nel merito delle riforme segnalando le criticità presenti nei vari punti del Recovery, offrendo indicazioni su ciò che in un piano funziona e su ciò che in un piano non funziona. Una criticità ricorrente? Un piano troppo sbilanciato sui sussidi. “Noi – ha detto in una recente intervista – siamo una sorta di ruota, che ha la funzione di trasmettere le politiche della Commissione europea direttamente ai paesi membri attraverso le riforme che essi decidono di fare”. I rilievi di Nava – che lavora seguito passo dopo passo da Marco Buti, già direttore generale per gli Affari economici e finanziari della Commissione europea e capo di gabinetto del commissario all’Economia Paolo Gentiloni – vengono poi condivisi formalmente con la squadra guidata da Di Nuzzo che, una volta recepite le indicazioni, infila tutto dentro a un unico dossier compilativo contenente i vari punti del Recovery. Accanto a questo processo – che è quello che ha a che fare più con i numeri che con i contenuti, un lavoro di cui si occupa di solito in un’azienda un Cfo – ce n’è però uno parallelo, che è quello che passa dalle mani di quello che a oggi è il vero ministro per il Recovery. Un ministro il cui profilo coincide con quello di Vittorio Colao, l’unico autorizzato in questa fase dal presidente del Consiglio a entrare nel merito del Recovery, l’unico autorizzato a individuare cosa funziona e cosa invece no e l’unico forse non a caso citato ieri da Draghi nel corso del suo secondo discorso al Senato.
Nello schema di Draghi, Colao è centrale non solo perché il 20 per cento dei fondi europei destinato a finanziare i piani di ripresa e resilienza riguarda proprio la trasformazione digitale ma è centrale anche perché una buona azienda per funzionare deve avere un bravo Cfo – che in questo caso è il Mef, oggi con la struttura che fa capo a Di Nuzzo, un domani con una direzione ad hoc che verrà creata dal Mef per vigilare sui numeri del Recovery – e deve avere un bravo amministratore delegato – che in questo caso è il ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale. E qui arriviamo al tema del metodo, che ci permette di affrontare poi un tema politico con cui dovrà fare i conti il governo: una volta che il Recovery partirà, chi sarà il cane da guardia che vigilerà sull’attuazione qualitativa delle riforme?
Per misurare la qualità delle riforme, allo stato attuale, il ministro Colao agisce sulla base di un mandato non scritto di Draghi, che è un qualcosa in più di un semplice monitoraggio della digitalizzazione presente nelle riforme. L’ex ad di Vodafone, ogni giorno alle 19 aggiorna un file excel che è così strutturato: sulla colonna di sinistra ci sono, sintetizzati, i piani presentati dai vari ministeri. A fianco di ogni piano ci sono poi due voci. Una voce che indica quanto quel ministero ha intenzione di utilizzare il Recovery per risolvere problemi del passato e quanto invece quel ministero ha intenzione di utilizzare il Recovery per provare a innovare e dunque progettare il futuro. Il grado di innovazione presente nei progetti presentati finora non sempre è stato all’altezza delle aspettative – i piani sui quali Colao è intervenuto di più, anche facendo tesoro dei molti input raccolti qualche mese fa nel corso degli stati generali organizzati dal governo precedente e condotti proprio dall’ex ad di Vodafone, sono quelli che riguardano il lavoro, la scuola e la sanità – e correzione dopo correzione il ruolo del ministro dell’Innovazione è diventato strategico al punto che le considerazioni mosse da Colao sono diventate la bussola principale con cui il presidente del Consiglio osserva l’andamento del Recovery. La trasformazione di Colao nell’amministratore delegato dell’azienda Draghi è qualcosa che sta accadendo nei fatti ma è qualcosa che potrebbe verificarsi anche nella forma quando sarà istituita la governance che monitorerà l’attuazione delle riforme legate al Recovery. In Francia, il piano fa capo interamente al ministero delle Finanze, accanto al quale è stato istituito un Haut-Commissariat au Plan, presieduto da François Bayrou, che ha funzioni di coordinamento del lavoro dei ministeri e degli altri enti coinvolti (sui contenuti del piano, il primo ministro francese si è impegnato, a partire da maggio, a rendere conto al Parlamento dell’esecuzione, ogni due mesi). A presiedere l’organo che procederà al monitoraggio degli stati di avanzamento del piano di rilancio vi sarà un Consiglio per il monitoraggio del rilancio (Conseil de suivi) presieduto dal primo ministro e che avrà una composizione mista (parlamentari, parti sociali, rappresentanti di comunità, società civile, economisti). Mentre a monitorare l’attuazione delle diverse misure del piano e assicurare la buona tenuta del calendario dell’impegno degli stanziamenti vi sarà un Comitato direttivo (Comité de pilotage) presieduto dal ministro dell’Economia che si riunirà settimanalmente e che si andrà ad affiancare poi a un apposito organo interministeriale (Conseil interministériel), presieduto dal primo ministro, con la presenza del ministro dell’Economia, delle Finanze e dei ministri interessati. Il ministero delle Finanze tedesco è responsabile sia per la richiesta sia per l’impiego dei fondi del dispositivo di ripresa e resilienza e funge da punto di contatto per le istituzioni dell’Unione europea e il governo non farà altro che presentare un rapporto sullo stato di attuazione del piano due volte all’anno, in corrispondenza della presentazione del Documento programmatico di bilancio e del Programma nazionale di riforma (ma la Germania usufruirà solo di 23,6 miliardi di euro di sovvenzioni e il governo tedesco ha scelto di non accettare i prestiti del dispositivo di ripresa e resilienza essendo i tassi della Germania più bassi di quelli europei per raccogliere denaro sul mercato).
L’Italia si trova in mezzo a questi due modelli: Draghi è mosso dalla consapevolezza di voler affidare la parte di monitoraggio dei conti al Mef, come è ovvio che sia, ma sta studiando un modo per far sì che il ministro divenuto più centrale sul Recovery in questa fase, ovvero Colao, possa avere un ruolo centrale anche nella fase di attuazione. Una soluzione potrebbe essere quella di creare un sistema di cogestione nell’implementazione digitale dei vari piani ministeriali mettendo insieme personale del Mef e personale del ministero dell’Innovazione. La formula si troverà ma il primo punto politico importante che dovrà affrontare Draghi nei prossimi giorni sarà questo: cosa è disposto a fare il presidente del Consiglio per depoliticizzare la gestione del Recovery e per mettere al proprio fianco un amministratore delegato che sappia avere, con una sua struttura, uno sguardo non solo contabile sul piano che disegnerà l’Italia dei prossimi sei anni? Il Cfo è chiaro, l’ad ancora no. E, vaccini a parte, la grande partita politica che si giocherà Draghi nelle prossime ore sarà questa: scrivere una legge che permetta all’Italia di mettere il futuro del Recovery nelle mani di un buon amministratore delegato.