Il retroscena

Il metodo Cartabia: passo felpato e nessun sconquasso. Così guarda al Quirinale

Finora ha usato la regola del compromesso per non avere contrasti. Un consenso ampio che potrebbe portarla al Colle

Valerio Valentini

La Guardasigilli alle prese con la difficile mediazione tra i giustizialisti del M5s e gli iper garantisti di Forza Italia. Una cautela che fa sussurrare la maggioranza: la ministra vuole succedere a Mattarella?

C’è chi dice che non ci sia alcun retropensiero, e che la sua cautela sia dettata unicamente, come spiega il dem Walter Verini, “dalla necessità di destreggiasi tra due opposti estremismi, quello del giustizialismo populista e del garantismo peloso, per fare finalmente le riforme sospese da vent’anni”.

E però martedì mattina, quando Federico D’Incà le ha ceduto la parola sperando che fosse lei, la diretta interessata, a porre fine alla baruffa in atto dentro la maggioranza, pare sia rimasto sorpreso nel vederla così risoluta nel non decidere, nel rinviare, nel non scontentare nessuno. E insomma tra le malizie del Transatlantico, ce n’è una che comincia a essere ricorrente: e cioè che il passo felpato di Marta Cartabia, ministra della Giustizia d’assoluta autorevolezza, sia funzionale a non compromettere l’eventualità di un’apoteosi al Quirinale, all’inizio del 2022

 
Del resto un’ex presidente della Consulta  avrebbe tutti i requisiti per succedere a quel Sergio Mattarella che di lei dice ogni bene, pare insomma quasi cullarne le ambizioni più indicibili, tanto più che una donna a capo dello stato, di questi tempi, sarebbe forse l’eredità più rilucente che il presidente della Repubblica, entrato ormai nel suo ultimo scorcio di settennato (a meno di una non improbabile rielezione a tempo), potrebbe rivendicare. Certo, c’è Mario Draghi: candidato naturale.

Ma mandare un premier in carica al Quirinale sarebbe una primizia assoluta, e richiederebbe una crisi di governo pilotata che dovrebbe essere indolore in teoria, ma che nella pratica, poi, vai a sapere. E dunque, se tutto questo speculare tra i corridoi di Montecitorio ha un che di fondato, si capisce che la Guardasigilli si guardi bene dallo scontentare troppo apertamente qualcuna delle parti in causa nella gazzarra perenne intorno alla giustizia: specie se quel qualcuno, e cioè il M5s, resta pur sempre il partito di maggioranza relativa, che nei giochi grandi che s’apriranno a gennaio in Parlamento avrà  un ruolo non piccolo.

E dunque si spiega lo zelo che, fin qui, la Cartabia ha praticato nel non indispettire i grillini rimasti orfani di Alfonso Bonafede a Via Arenula, la benevolenza con cui ne ha quasi assecondato alcuni capricci. 

 

Anche martedì scorso, appunto. Quando, in videoconferenza, la grillina Carla Giuliano s’è impuntata dicendo che no, quegli emendamenti proposti dal calendiano Enrico Costa per introdurre nella legge di delegazione europea la direttiva comunitaria sulla presunzione d’innocenza erano inaccettabili. Al che D’Incà, un po’ imbarazzato, ha tentato insieme a Enzo Amendola, responsabile dei Rapporti con l’Ue, di proporre una mediazione. Ma quando la Cartabia è stata interpellata, ha ritenuto di scansare l’insidia: “Quando le forze di maggioranza avranno maturato un accordo, avanzerò una mia proposta”.

Fine del collegamento. E inizio delle trattative. Col deputato del Pd, Piero De Luca, che entro martedì dovrà trovare un compromesso non proprio scontato. Ma non si fa in tempo a mettere una pezza, che subito, nella complessa tela che questa variegata maggioranza tesse intorno all’argomento più divisivo, s’apre uno sbrego. E infatti ieri mattina, in commissione Giustizia, il presidente grillino Mario Perantoni ha tentato di congelare la discussione sulla più spinosa delle riforme, quella del processo penale, rimandando a maggio il termine per gli emendamenti dei gruppi. “Ma così ci vedremo arrivare prima quelli della ministra, e noi non potremmo più intervenire”, è insorto allora il renziano Catello Vitiello.

Il quale sa che, se i partiti attendono le proposte che arriveranno dal gruppo di lavoro formato a Via Arenula e guidato dal presidente emerito della Consulta, Giorgio Lattanzi, poi gli spazi di manovra politica si riducono assai. “E un anno di discussioni, di audizioni, verrebbe tutto archiviato?”. Così s’è deciso d’ anticipare la scadenza per gli emendamenti  al 23 aprile, prima delle indicazioni del ministero.

 

E insomma si capisce che di qui a un mese, la ministra che finora ha smussato ogni angolo,  rimesso al Senato il compito di completare la riforma del processo civile necessaria anche ai fini del Recovery plan, ha convocato i capigruppo per sminare il terreno ogniqualvolta in Aula si annunciavano ordini del giorno incendiari, dovrà gestire una partita in cui le mezze soluzioni forse non basteranno. Perché è lì che si parlerà, ad esempio, del tema tossico della prescrizione. “Noi confidiamo nell’operato della ministra, e dunque non abbiamo alcun interesse ad assecondare chi chiede svolte traumatiche e repentine”, osserva Alfredo Bazoli, capogruppo dem in commissione Giustizia alla Camera. Ed è un ragionamento che dà il senso dello sforzo che costa il non entrare in conflitto col M5s, certo. Ma che forse riflette anche un’altra paura: quella, cioè, che a procedere per spallate e spintoni, si rischi un mezzo ribaltone. Perché sui temi dei riti alternativi, dell’archiviazione condizionata e della detenzione rieducativa, i veri forcaioli sono i leghisti: e non è escluso, allora, che si ricomponga una stramba maggioranza gialloverde intorno agli assunti davighiani della certezza della pena.
E insomma ci sta che la cautela della Cartabia tradisca il desiderio del Colle. Ma ci sta anche che alla ministra sia bastato poco per accorgersi che la vera discontinuità di merito sulla giustizia passa, per ora, da una neutralità dissimulata nella forma. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.