66 voti contro i 24 di Marianna Madia
La vittoria di Debora Serracchiani e la pax dopo la disfida del capogruppo Pd
"La competizione, novità positiva", dice Serracchiani. "Ora lavoriamo insieme", dice Madia
"Non c'è nessun putiferio tra Serracchiani e Madia", persone libere, aveva detto Enrico Letta
“Partito incrostato di maschilismo”: così Enrico Letta, segretario del Pd, ha definito il Pd in mattinata, nel giorno in cui si votava per il capogruppo alla Camera, al termine della cosiddetta “guerra delle missive”. E se il risultato del voto, in serata, ha dato 66 voti per Debora Serracchiani contro i 24 voti per Marianna Madia (hanno votato 93 deputati su 93), i giorni precedenti hanno visto protagoniste dello scontro le due candidate ma anche le loro lettere aperte, con contorno di altre lettere aperte (di Walter Verini, Barbara Pollastrini e Monica Cirinnà). Madia, qualche giorno fa, aveva infatti accusato il capogruppo uscente Graziano Del Rio di “cooptazione mascherata” a favore di Serracchiani, attraverso un “gioco degli accordi trasversali”.
Serracchiani aveva risposto ribadendo la sua “autonomia”, e Verini aveva fatto appello, in nome della stima per entrambe, alla volontà delle contendenti di dire “no” alle correnti. Alla vigilia del voto, intanto, Madia aveva chiesto invano che venisse avviata la discussione sulle rispettive proposte (invano). Ecco perché la mattina successiva, e cioè oggi, l'ex ministra ha mandato un altro messaggio scritto: “Non è Madia contro Serracchiani. E' il Partito democratico e come stiamo insieme in questo tempo complicato. Si parla di democrazia e della nostra funzione sociale. E' un passaggio stretto. E anche doloroso sul piano umano. Ma la politica deve essere questo: partecipazione emotiva, passione. Non un algoritmo di provenienze”. Chiunque sia il capogruppo, diceva Madia, “dimostriamo fuori da qui che questo è il luogo più importante dove difendere e rappresentare i diritti sociali e civili delle persone”. Ed emergevano, nella lettera, i temi che Madia avrebbe voluto dibattere prima del voto: la “credibilità di una nuova proposta elettorale”,“l'autonomia del gruppo”, “il metodo con cui si prendono le decisioni” e la centralità del Parlamento, un Parlamento che sarà chiamato a eleggere il futuro Capo dello Stato.
Quanto al governo Draghi, Madia ribadiva la volontà di “sostenerlo con il massimo impegno, senza farsi schiacciare dalla logica governista” e discutendo “di ius soli, diritto a Internet, lotta alla povertà, finanziamenti alla scuola, diritti per i giovani e per le donne”. E mentre fuori dal Nazareno infuriava la polemica sui toni e i modi del dibattito, il segretario Letta interveniva, intervistato dal Corriere.it, per sopire il malumore: “Non c'è nessun putiferio tra Madia e Serracchiani, persone libere”, diceva, “due uomini avrebbero discusso animatamente allo stesso modo”.
E se Madia specificava il senso del “no” alle correnti (no quando sono strumenti per spartire posti, ben venga quando sono “luoghi di autonomia ed elaborazione e promozione di una linea politica”), anche Serracchiani, prima del voto, inviava una lettera ai colleghi: “Potrei dire che moltissime delle idee esposte nella sua ultima lettera da Marianna le condivido, che siamo all'interno di una visione politica comune, potrei precisare qualche punto. Alla fine non saremmo lontane, come saremo sicuramente vicine dopo il voto di oggi". E Madia, aperte le urne, augurava buon lavoro alla collega: “C'è tanto da costruire insieme”. E Serracchiani ringraziava Madia: "La competizione è una novità positiva".