Romanzo moscovita-salernitano
Sputnik o Totò? La commedia dei vaccini russi di Vincenzo De Luca
Agenzie del farmaco, consoli, fondi sovrani, ambasciatori, un povero professore
Firma un contratto secretato con i russi per un vaccino mai approvato. Nessuno sa quante fiale, a che prezzo. Il dirigente non firma? Vincenzo De Luca ne trova un altro che lo fa. Il rischio è lo scoppio della "bolla dei vaccini, il siero come i derivati subprime"
Roma. L’errore è chiamarla “spacconata”. E sarebbe un ulteriore errore associare la corsa al vaccino Sputnik della Campania di Vincenzo De Luca, il rischio di cadere nella più grande “bolla commerciale post pandemia”, dal protocollo scientifico, dallo sviluppo che ha in mente invece la regione Lazio, la produzione, ma come occupazione. Se qualcuno ha ancora dubbi sulla necessità di mettere un freno alle fantasie regionali legga quanto sta accadendo a Napoli. E’ una storia a metà tra Limonov e la commedia di Peppino.
I protagonisti sono Ema, Aifa, ambasciatori di stanza a Mosca, consoli onorari, fondi sovietici, una spruzzata di Putin, e un piccolo eroe “io non ci sto”. Si chiama Corrado Cuccurullo ed è l’unico che ha avuto il coraggio di spiegare a De Luca che quanto ha intenzione di fare è rischiosissimo.
Si tratta di un professore di Economia aziendale fino al 27 febbraio presidente del Cda e ad di Soresa. E’ la società che gestisce gli acquisti per la regione Campania. E’ in pratica la società che su sollecitazione del presidente De Luca ha siglato un accordo “riservatissimo” (determina 60 del 24 marzo) con “l’operatore economico Human Vaccine, rappresentata dalla Rdif Corporate Center Limited Liability Company” (il ceo è Kirill Dmitriev e raccontano che la moglie sarebbe vicina alla figlia di Putin) per avere il famigerato Sputnik.
Ma che accordo ci può essere se chi vende qualcosa non può ancora vendere, se il prodotto non ha ancora ricevuto nessuna autorizzazione da parte di Ema che, ricordiamo, è l’agenzia che sta sopra alla nostra Aifa? In Campania la chiamano “una crozzata” e si riferiscono al comico che imita il loro presidente. Severino Nappi, che è consigliere regionale e ordinario di Diritto del lavoro all’università di Napoli, parla di “aria fritta ad captandum vulgus”, nient’altro che una trovata per far capire che “qui si fa a modo nostro e i vaccini ce li compriamo noi. Sono russi? E che importa?”.
Perfino uno come Luca Zaia, che sull’autonomia del suo Veneto non transige, ha suggerito di fare attenzione “perché i vaccini non sono grappa barricata”. Mario Draghi, che queste bolle le conosce perché le ha affrontate in campo economico, è preoccupato. Spiega Guido Rasi, già ex direttore di Ema, che al momento non c’è nessuna autorizzazione esaminata per la semplice ragione che “si sta procedendo alla fase di rolling”. Si studia, si revisiona. Il premier lo ha ricordato: “Serviranno mesi prima del sì a Sputnik”. Se l’Ema non lo autorizza, in che modo De Luca pensa di renderlo legale in Italia? Spinge su Aifa e sul governo. Dice: “Mi auguro che anziché raccontare numeri a vanvera, il governo si impegni affìnché l’Aifa verifichi i vaccini Sputnik in tempi rapidi”.
Una legge d’ emergenza, la numero 648/1996, consentirebbe ad Aifa di erogare un farmaco scavalcando Ema, ma solo “se non esiste un’alternativa terapeutica valida”. Esistono i vaccini autorizzati, sta per arrivare quello di Johnson & Johnson che immunizza con una sola dose. Per quale ragione Aifa dovrebbe autorizzare oggi il vaccino russo? Del contratto firmato dalla Campania nessuno sa nulla. Non si conosce il prezzo delle fiale. E il numero? E’ per questo che Nappi parla di “rischio bolla, un po’ come i derivati della banche. Se sul mercato il prezzo dello Sputnik dovesse crollare? Cosa si fa?”.
Nel Lazio c’è un interesse nei confronti dello Sputnik, ma è innanzitutto scientifico e lo porta avanti l’Istituto Spallanzani con l’omologo russo Gamaleya: condividono dati, cercano di capire se sarà efficace nei pazienti che altri vaccini non hanno immunizzato. Nicola Zingaretti lo ha chiarito ieri: “Noi non andiamo avanti da soli”. Una cosa è produrlo altra somministrarlo. Una cosa è favorire la produzione nel Lazio, che possiede un hub avanzatissimo di farmaceutica, tra Pomezia e Anagni, altra è firmare preaccordi.
Ed è qui che entra in gioco Cuccurullo, il Bartleby di De Luca. A capo della Soresa si rifiuta di siglare questo contratto e si dimette. Lo abbiamo cercato ma preferisce non parlare. Qualsiasi presidente di regione avrebbe quantomeno riflettuto sul gesto. De Luca ha fatto De Luca. Al posto di Cuccurullo ha nominato, ad interim, un suo fedelissimo. E’ Mauro Ferrara che ha firmato questo contratto senza perplessità. Ma c’è dell’altro. Come arrivano i russi a De Luca? Si dice che l’intermediario sia Enzo Schiavo, vicepresidente della Camera di Commercio Italia-Russia. Ma al Foglio spiega che non è stato lui. Aggiunge che “i russi stanno cercando di capire come produrre il vaccino in Italia ma serve un bioreattore che costa milioni di euro”.
L’ambasciatore con i russi è stato il nostro ambasciatore (napoletano). E’ Pasquale Terracciano, rappresentante italiano a Mosca.. De Luca lo ha voluto ringraziare pubblicamente. E’ la diplomazia al babà. Il problema è l’emulazione. Sicilia, Umbria si sono dette pronte a fare come la Campania che precisamente non ha comprato nulla se non un futuro indefinito dove ci si augura che il vaccino possa costare meno di quanto la regione si è impegnata a corrispondere. Il contratto di De Luca è la fontana di Trevi di questo tempo sciagurato. E’ Sputnik o Totò?