La politica non si fa con i criteri
La proporzionale può essere l’occasione per azzerare le discussioni viziate dal regolismo e può aiutare i partiti a uscire dalla dannosa logica del criterio politologico. Una svolta necessaria, anche per Letta
La proporzionale è diventata per molti di noi una tentazione e addirittura una posizione politica in contrasto con quelle del passato, pro maggioritarie, come argine al dilagante populismo straccione e viatico per un eventuale ripristino del sistema dei partiti. Un breve scritto su Linkiesta di Francesco Cundari, uno che sa essere malinconico, disilluso ma non spento nell’osservare la politica, ha spiegato meglio anche a noi stessi la ragione profonda di questa scelta. La proporzionale non è una regola opposta a un’altra, il maggioritario, è bensì l’azzeramento della discussione viziata dal regolismo: questa è all’ingrosso la sua tesi. E’ un modo possibile di restituire ai partiti identità vera, programmatica e d’azione, perché si esca dalla stucchevole e impotente “prevalenza del criterio” (l’assonanza con la frutteriana “prevalenza del cretino” è non voluta ma sana e riconoscibile).
Con tutte le riserve anche asprigne sul Letta malmostoso e cattivo perdente della campanella di Palazzo Chigi, e con tutta la benevolenza verso la segreteria di Nicola Zingaretti che ha consentito la messa in mora dei pieni poteri e una decente governabilità in condizioni anomale, suscitava aspettative e interesse l’arrivo nel Pd di un nuovo segretario totus politicus e con una missione di riabilitazione e riordino radicale del partito che le dimissioni del suo segretario, eletto con le primarie e detentore di una maggioranza interna vasta, avevano per così dire “disonorato”. Ma bisogna dire che fino a ora anche la segreteria Letta si è invischiata nel gioco dei criteri e non ha saputo compromettersi felicemente con un risveglio del concetto e della pratica della leadership politica. Evidentemente ha ragione Cundari, la crisi dei partiti nata negli anni Novanta si è nutrita fino all’ossessione di questo grande Ersatz psicoanalitico, la sostituzione del criterio politologico e etico al contenuto proprio della politica.
Esempio della prevalenza del criterio. Non chi eleggiamo segretario e perché, con quale bagaglio di esperienza e consenso ratificato da una base politica o constituency, ma come (crit.) lo eleggiamo. E lì tutta la discussione sulle primarie legittimanti (crit.), in particolare perché affidano a elettori anziché iscritti la scelta (crit.), ma non senza dubbi sulle primarie interne o di coalizione (crit. crit.). Il maggioritario ovvero le alleanze (altro doppio crit.) al posto di una ordinaria identità politica e di comportamento adattata a una Repubblica parlamentare. Le correnti sono il segnacolo di un partito che non è una caserma e che esprime diversità politiche al suo interno e, per dir così, nei rapporti con il pubblico, ma le correnti vanno invece regolamentate o normalizzate (crit. crit.) perché considerate patologiche, troppo legate a contenuti politici e di potere (il potere e la politica non sono un crit., sono un contenuto di merito, quindi vanno trascurati). Cundari indica molte altre mostruosità criteriologiche e teratologiche in cui rischia di invischiarsi dal suo principio la segreteria Letta, come tutto ciò che l’ha preceduta. In fondo anche allearsi o no con Conte e i grillozzi, che Cundari esorcizza con atteggiamenti sfioranti la paranoia jacobonica, è posto come un criterio (il crit. della governabilità in funzione dell’antidestra). Insomma, non si comincia mai a dire, magari su salari, lavoro, crisi economica e finanziaria, su istituzioni costumi, diritti, e via che vai, chi si è e cosa si vuole, questo il lamento sensato di Cundari.
In nessun caso la faccenda è altrettanto chiara che in quello americanizzante dell’identità di genere. Ora che la questione è chiusa, ora che due donne dirigono deputati e senatori, e il Pd pensa di essersi rifatto la faccia almeno in parte, ora se ne può parlare senza degnazione e senza sarcasmo. A un capogruppo si richiede di esprimere il volere politico di una maggioranza di eletti (pol.) e non di essere maschio o femmina (supercrit.). Alla fine, poiché la politica supera i criteri surrettiziamente quando non può farlo apertamente e con cognizione di causa, si sono scelte due donne con il consenso decisivo e malmostoso delle correnti. Ma il segretario nuovo per un nuovo partito, vaste programme, non ha potuto dire che voleva capigruppo, che so, libertari perché la sua politica è libertaria, moderati e liberali perché vuole promuovere una concentrazione riformista che comprende il centro, di sinistra laburista perché vuole ristabilire il primato programmatico del lavoro, o altre politicità del genere. Ha dovuto arrendersi, con brio magari, e con l’idea di una trovata ganza, alla fine di successo, alla prevalenza del criterio dell’identità, ma di genere. Così, con un affastellamento di crit., la ruota ricomincia a girare, poi verrà il crit. per la scelta del candidato a sindaco di Roma, verranno i crit. per le liste elettorali, le coalizioni, le alleanze più o meno anomale, e non verrà mai il momento in cui un partito propone una ordinaria o straordinaria piattaforma politica in base alle sue tradizioni, pulsioni, ai suoi interessi rappresentati, alla dinamica delle sue correnti, al suo disegno per l’Italia e il mondo. Mai. Saranno proposti dei criteri e su quello esclusivamente si discuterà.
Di recente Angelo Panebianco ha detto o ripetuto di essere, cosa nota, per il maggioritario, e di scongiurare la proporzionale come fattore di ingovernabilità e irresponsabilità verso l’elettorato. L’unico argomento a favore, ha aggiunto, sarebbe che la proporzionale offre un rifugio agli asfittici partiti o partitini liberali, i segnaposto del liberalismo, che con il maggioritario non ce la fanno. E ha fatto l’esempio di Ugo La Malfa nella vecchia storia repubblicana, uno con pochi voti e molta influenza nel sistema. Ma La Malfa valeva e si imponeva perché aveva un’identità forte, clamorosa, sonante e dissonante, in un regime di partiti forti. Se la proporzionale portasse all’azzeramento della prevalenza del criterio e alla restaurazione di partiti che sanno chi sono e cosa vogliono, forse lo stesso Panebianco si convincerebbe a lasciare da parte in questa fase il maggioritario, si cundarizzerebbe come noi stiamo tentando di fare. Chissà.