La cassa, la Raggi, i due mandati. Le rogne di Conte sono ancora tutte da risolvere

Valerio Valentini

L'avvocato del "ma anche" convince i parlamentari, "ma anche" no. Spadafora e Sibilia difendono le correnti: "Non possiamo consegnarci a un leader". Il tesoriere Cominardi nel limbo. Le deroghe sui vincoli che non convincono i più giovani. Giuseppe nella Babele a cinque stelle

In fondo è un po’ il destino di chi fa del barcamenarsi la sua forza, partire con l’ansia di  accontentare un po’ tutti e finire per non soddisfare  davvero nessuno. Insomma Giuseppe Conte li aveva messi nel conto  - al netto delle ovazioni sui social  - i mugugni del giorno dopo. Anzi, in certi casi neppure ha dovuto attendere l’indomani. Perché Vincenzo Spadafora  al nuovo capo del M5s ha ribattuto a brutto muso già durante l’assemblea di giovedì sera: dicendogli che “l’unità si costruisce e non si impone” e spiegando che “le correnti no sono il male assoluto, ma dimostrano la voglia di partecipare”. Del resto, quello contro le cordate interne è stato forse l’unico passaggio in cui Conte abbia speso parole risolute. E ne è scaturito inevitabilmente il malumore di chi, come Carlo Sibilia, molto si è speso per far nascere “Italia più 2050”. “Non certo un atto ostile verso Giuseppe”, ha spiegato il sottosegretario all’Interno ai colleghi a cui ha chiesto di aderire, “ma semmai un atto di dignità”, perché insomma va bene l’adorazione verso l’ex premier redivivo, ma “noi parlamentari dobbiamo rivendicare le nostre ragioni”. Insomma, collaborare e non consegnarsi. Perché in effetti è quello  lo spettro che s’aggira in Transatlantico. “Per Conte siamo un peso, lui ha tutto l’interesse a liquidarci e a farsi un suo partito”. E quando il fu avvocato del popolo, giovedì sera, ha evocato “il neo Movimento”, a  qualcuno s’è gelato il sangue.

 

Bisognerà capire meglio, certo, le intenzioni del leader. E non è un caso che Rocco Casalino si sia premurato di dire a deputati e senatori che sì, altri incontri seguiranno. E in quelli, forse, si entrerà nel merito delle tante questioni solo accennate. A cominciare da quella dei due mandati. Su cui Conte nulla ha detto. E tanto è bastato perché i molti big in scadenza tornassero a sperare, magari per un ricollocamento in una delle “tantissime posizioni” nei nuovi organigrammi interni annunciati dall’ex premier. “Ma un  sistema di deroghe per i presunti meritevoli”, precisa  Luca Carabetta, che anima l’attivismo dei grillini al primo mandato, “aprirebbe a grosse storture, anche perché spesso da noi si confonde la competenza con la visibilità”. 

 

C’è poi la questione della cassa. Nel M5s che Conte ha in testa, con sedi e dipartimenti e e staff e ufficio legale, servono tanti soldi. E chi ha parlato col deputato Claudio Cominardi, nominato tesoriere nel dicembre scorso, ha raccolto gli sfoghi di un uomo sfibrato nella morsa costante tra Vito Crimi e Davide Casaleggio, che ora si vedrebbe liquidato nella nuova struttura senza sapere nulla delle intenzioni del nuovo leader intorno alla baruffa - pure questa evitata, nel discorso - col figlio padrone di Rousseau.

 

Tutti problemi di prospettiva, per Conte. Che invece uno, di problema, ce l’ha già lì, di fronte a sé. Gli è apparso anche giovedì sera, sullo schermo del suo pc, nel volto severo di Virginia Raggi. Che ci ha tenuto a intervenire, a parlare “a nome di tutti i sindaci del M5s”, a dettare la linea per i prossimi mesi. Non proprio, insomma, il tono di una che accetterà di ritirarsi dalla corsa per il Campidoglio.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.