La Lega come l'asino di Buridano
Perché le convulsioni di Salvini ridisegnano la politica italiana
Con Draghi in Italia, contro Draghi in Ue
I quattro effetti delle contorsioni del leader della Lega sul governo e sull'opposizione. Conte incontrerà Meloni
A un mese e mezzo dalla nascita del governo Draghi, la parabola politica più interessante da mettere a fuoco all’interno dell’esecutivo riguarda senza dubbio il profilo di Matteo Salvini e riguarda in particolare il tentativo spericolato dell’ex Truce di provare a essere coerente sia con il presente della Lega (il sovranismo europeista incarnato da Draghi) sia con il suo passato recente (il populismo nazionalista incarnato da Salvini). Il tentativo di rendere le due traiettorie compatibili tra loro è un tentativo simile a quello fatto da chiunque tenti di mescolare in un bicchiere un po’ di acqua con un po’ di olio.
Ma a un mese e mezzo dal primo sì del Parlamento a Draghi Salvini tenta ancora oggi di trovare una risposta soddisfacente a questa domanda: come rendere la svolta europeista della Lega non inconciliabile con la presenza di Salvini alla guida della Lega? Fino a oggi Salvini ha giocato le sue carte facendo di tutto per evitare di diventare l’asino di Buridano della politica italiana – la storia dell’apologo di Buridano la conoscete: un asino affamato e assetato che incapace di scegliere se avvicinarsi prima a un mucchio di fieno o a un secchio d’acqua alla fine non riesce a muoversi e si lascia morire – ma allo stato attuale l’impressione che offre ogni giorno la Lega salviniana è quella, a voler essere molto generosi, di un partito a due velocità.
Da un lato vi è un leader che le prova tutte per dimostrare di essere sempre lo stesso di un tempo (e dunque, cari amici populisti, prendiamoci un mojito in Europa per ricordare con un nuovo gruppo politico i bei tempi che furono) e dall’altro lato vi è invece un leader che le prova tutte per dimostrare che la scelta di appoggiare un governo antinazionalista non è in contraddizione alcuna con il percorso seguito fino a oggi dalla Lega (e dunque, così raccontano alcuni ministri colleghi di Salvini al governo, Salvini, alla fine di ogni Cdm, cerca sempre, per la disperazione di Dario Franceschini, un modo per rivendicare prima degli altri leader di partito un qualche provvedimento del governo, per provare ogni giorno a dimostrare l’indimostrabile, ovverosia che il governo Draghi in realtà non sia altro che, oplà, il governo Salvini: non vedete come ci somigliamo?).
Il gioco dell’Infiltrato di Salvini è un gioco che più passa il tempo e più risulta essere però fuori sincrono rispetto all’evoluzione della politica nazionale (osservare Salvini che rivendica i successi del governo Draghi offre la stessa impressione che un tempo offriva l’ascolto della voce fuori sincrono di Enrico Ghezzi nel mitico “Fuori orario”) ma è un gioco che comunque sta producendo alcuni risultati interessanti. Ne potremmo selezionare quattro.
Il primo risultato (citofonare Giorgetti) ha a che fare con una consapevolezza progressiva che vive dentro la Lega e che ormai è difficile da negare: il partito di Salvini sembrava non aspettare altro che una conversione come quella che Draghi ha imposto alla Lega mentre Salvini non sembra aspettare altro che un pretesto per poter mettere un punto all’esperienza del governo Draghi (anche se al momento il “che fate non mi cacciate?” è solo un gioco delle parti).
Il secondo risultato (citofonare Letta) ha a che fare con una reazione prodotta dalle convulsioni leghiste: il leader del Pd ha colto la profondità delle contorsioni della Lega e ha deciso di combattere il salvinismo non demonizzandolo ma provando a dimostrare l’incompatibilità del modello Salvini-Orbán con il modello Salvini-Draghi (dai Matteo, perché non facciamo a gara a chi ce l’ha più lungo, il curriculum da draghiano?).
Il terzo risultato rilevante ha a che fare con una relazione speciale, e un po’ a sorpresa, che si sta costruendo tra un pezzo di maggioranza e un pezzo di opposizione e quella relazione riguarda un canale di dialogo privilegiato che si sta costruendo tra il centrosinistra di Enrico Letta e Giuseppe Conte e la destra di Giorgia Meloni. Un dialogo che nasce da un obiettivo politico evidente: provare a far saltare i nervi a Salvini riconoscendo sempre di più il ruolo di Meloni come vero leader del centrodestra (il canale di dialogo tra la coalizione formata da Pd e M5s e FdI risulterà chiaro quando si andranno a scegliere i prossimi vertici della Rai e quando il neo leader del M5s, Giuseppe Conte, annuncerà nei prossimi giorni un incontro proprio con Giorgia Meloni).
Il quarto risultato prodotto dal disorientamento della Lega ha a che fare con quelle che saranno le mosse che verranno messe in campo nei prossimi mesi quando il centrodestra e il centrosinistra dovranno decidere come prepararsi alla successione di Sergio Mattarella. Parlare oggi di Quirinale significa mettere il carro davanti a buoi ma una linea di tendenza sembra emergere già: e se alla fine, per ripulire il proprio curriculum da impresentabile, a sponsorizzare il passaggio di Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale fosse più la Lega di Matteo Salvini che il Pd di Enrico Letta? Il gioco dell’Infiltrato è un gioco tanto spassoso quanto imprevedibile ma alla fine dei conti è il vero gioco da tenere d’occhio per capire come verranno ridisegnati i confini della politica italiana e per capire se il leader del partito più popolare del paese riuscirà a non diventare l’asino di Buridano. I popcorn li portiamo noi!