tensioni di aprile
Così Salvini può trasformare il Consiglio dei ministri in un Vietnam
I carteggi tra il Colle e Palazzo Chigi per evitare storture normative. Il pressing delle regioni per i vaccini e le indicazioni della Gelmini sulla quota 70 per cento per anziani e fragili
Il decreto approvato mercoledì lascia un piccolo spiraglio per le riaperture. E il capo della Lega vuole usarlo per fare battaglia politica. I dubbi del Quirinale. Le ansia di Draghi, che vorrebbe accelerare sul Recovery plan ed è costretto a mediare
C’è di fondo una questione tecnica, da cultori del diritto: ed è quella che ha fatto sorgere più di qualche perplessità al Quirinale, rispetto all’ultimo decreto licenziato dal Cdm mercoledì. Ma poi c’è, anche e soprattutto, una questione politica. E qui la stortura sa quasi di paradosso: perché proprio l’espediente elaborato per evitare inghippi, sul tema delicato delle riaperture, potrebbe aprire la strada a nuove baruffe. In un mese, quello di aprile, che invece Mario Draghi vorrebbe consacrare soprattutto al Recovery plan.
Ad attenersi all’interpretazione letterale del passaggio più delicato del decreto, quello che regola le cosiddette riaperture, bisogna arrendersi a una certa vaghezza. Perché, tra i parametri di cui il Cdm dovrà tener conto per poter acconsentire, attraverso una sua deliberazione, alla colorazione “gialla” di una regione, non c’è più solo quello legato ai contagi, che pure aveva una sua codificazione oggettiva per quanto complessa (l’indice di incidenza), ma anche quello connesso allo “stato di attuazione del piano strategico nazionale dei vaccini, con particolare riferimento alle persone anziane e alle persone fragili”. Al che i presidenti di regione si sono subito chiesti: “E quali sono i parametri per stabilire se coi vaccini siamo in regola oppure no?”. E allora è toccato a Mariastella Gelmini, sempre centrale nel suo ruolo di cucitrice tra Roma e la periferia dell’impero, indicare una quota di riferimento (“Il 70 per cento di vaccinati tra gli over 80 e i fragili è la soglia minima per pensare a una riapertura in sicurezza”, hanno spiegato i suoi tecnici) ai governatori, senza riuscire a convincerli granché. “Il vero punto di svolta ci sarà, a prescindere dalle polemiche, se entro fine aprile, magari proprio il 25, si riuscirà a viaggiare sulle 500 mila dosi al giorno”, dice il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, aggiungendo che “sì, se non ci saranno nuovi ritardi nelle consegne, ce la dovremo fare”.
Ma la Gelmini spera che la tregua coi presidenti di regione arrivi prima. E si augura che anche l’incontro di giovedì prossimo, per discutere della governance del Recovery plan, valga a migliorare il clima. Non è un caso che Draghi, che sulla messa a punto del Pnrr (da inviare a Bruxelles entro il 30 aprile, con tanto di riforme della Pa e della giustizia abbozzate, e con la semplificazione normativa avviata) vorrebbe spendere la miglior parte di sé e delle sue giornate nelle settimane che verranno, ha deciso di partecipare in prima persona, insieme al ministro Daniele Franco.
Solo che il gorgo dei bisticci politici potrebbe risucchiarlo già all’indomani del vertice con le regioni. Perché il prossimo monitoraggio della Cabina di regia arriverà venerdì prossimo: il 9 aprile. Ed è sulla base di quei dati che, in teoria, alcune regioni potrebbero rivendicare il loro diritto a tornare “gialle”. E stando alle previsioni che circolano nel Cts, sarebbero almeno sei o sette quelle che potrebbero ambirci, se ci si basasse sul solo dato dei contagi. “E così ci ritroveremo con Salvini che ricomincia a invocare le riaperture”, mugugnano i ministri del Pd. I quali già sanno che poi tutte le tensioni politiche, dettate dalle fregole propagandistiche del Carroccio, si scaricheranno proprio sul Cdm. E’ anche per questo che Dario Franceschini, insieme a Roberto Speranza e Stefano Patuanelli, per una mezz’ora abbondante hanno insistito, martedì scorso, perché anche quel riferimento alle disposizioni in deroga venisse stralciato: “Per togliere qualsiasi pretesto”. Del resto, che lo spartito di Salvini resti sempre lo stesso, è fin troppo chiaro: “Sono stufo di scelte politiche sulla pelle degli italiani”, è tornato a tuonare ieri. “A che titolo - ha proseguito, riferendosi proprio al titolare della Salute - un ministro può dire teniamo tutto chiuso al di là dei dati scientifici? Questo è sequestro di persona”. Il tutto, va da sé, con toni talmente esagitati che perfino dalle parti di Forza Italia si sbuffa: “Perché se Salvini alza sempre così tanto l’asticella delle aspettative, poi sembra sempre che il centrodestra ottiene meno di quello che chiede”.
E se le tensioni politiche preoccupano i partiti, al Colle sono preoccupati anche per più raffinate questioni. Perché la soluzione adottata, frutto evidentemente di mediazioni politiche non facili, consente di fatto di modificare le disposizioni previste in un decreto attraverso una semplice deliberazione del Cdm. Questione di gerarchia delle fonti, per cui una norma di rango più basso non dovrebbe poter correggere una di rango più elevato. Una specie di delegificazione anomala. Anche per questo, nei carteggi che hanno accompagnato la stesura del decreto, dal Quirinale era stato suggerito di affidare a un provvedimento normativo il compito di derogare le disposizioni previste: insomma, per consentire alle regioni “gialle” di poter riaprire, secondo i consiglieri di Sergio Mattarella sarebbe stato meglio ricorrere a nuovi decreti. O, quantomeno, a un dpcm: strumento che però a Palazzo Chigi hanno decisamente accantonato (anche per segnare un discontinuità formale rispetto alla gestione di Giuseppe Conte), spiegando peraltro che per ora la forzatura procedurale sarebbe solo teorica, perché quel passaggio contestato del decreto pare destinato, nelle intenzioni del premier, a restare inapplicato. Solo che questo va spiegato a Salvini. E si ricomincia daccapo.