L'intervista
"Gratteri deve scusarsi. Prefazione imperdonabile a libro aberrante". Parla Ayala
"Libro ai limiti della psichiatria. Finora Gratteri non ha spiegato"
Parla l'amico di Giovanni Falcone, pm del maxiprocesso: "Le parole di Gratteri finora non spiegano ma aggravano. Deve riconoscere che ha sbagliato. Il Csm deve fare valutazioni. Sempre più necessari esami psicologici per pm. Troppi magistrati cedono a tesi cospirazioniste"
Sentite cosa dice Giuseppe Ayala, amico di Giovanni Falcone, il pm del maxiprocesso, toga simbolo negli anni delle stragi: “Se Nicola Gratteri ha scritto la prefazione senza leggere il libro siamo di fronte a qualcosa di imperdonabile. Se l’ha scritta dopo averlo letto è un’aggravante”. Stiamo parlando ancora del libraccio negazionista “Strage di Stato - Le verità nascoste della Covid-19”. Uno degli autori è un magistrato della corte d’appello di Messina. Le tesi che stanno dietro al testo ormai le conoscete: “I vaccini acqua di fogna”, “non è morto nessuno di Covid”. Ayala, stiamo zitti? “Assolutamente no. Innanzitutto diciamo che sono tesi ai confini della psichiatria”. E’ foraggio per le campagne di tutti gli spostati no vax, quelli che seminano zizzania contro i vaccini. Chi le ricordano? “I terrapiattisti, gente che non distingue la realtà. Apprendo che uno degli autori è un magistrato. Non è un problema di sanzioni. Anche io la penso come Luciano Violante. E’ qualcosa di più importante. Non bastano provvedimenti anche se il Csm delle valutazioni dovrà pure farle”.
Ripetiamo. Nessuno davvero ce l’ha con Gratteri se non Gratteri che sta danneggiando se stesso. Non ha accettato di spiegare in che modo si è avvicinato a questi autori salvo dire che nella sua procura sono tutti vaccinati e dunque non “no vax”. A lei basta questa risposta? “Quella frase non spiega. Anzi. Si rifugia nel vaccino che è stato somministrato a lui e ai suoi colleghi. Non ammorbidisce la posizione ma la aggrava”. Perché? “Perché apre il capitolo delle vaccinazioni ai magistrati. Mi chiedo: quanti anziani sono stati vaccinati in Calabria? Quanti ottantenni ancora attendono?”.
Lei al posto di Gratteri cosa avrebbe fatto? “Ammettere che è stata una gravissima leggerezza. Che ha sbagliato. Serve una presa di distanza inequivocabile. Una frase come questa: ‘Non mi riconosco assolutamente nelle tesi degli autori’. Dovrebbe farlo al Foglio. Cogliere l’occasione di chiarire che sono certo, voi, gli offrirete nuovamente”. Prima della pandemia si è cercato in tutti i modi di sconfiggere una cultura pericolosissima. E’ quella di tutti gli “spostati”. Sono i negazionisti del siero, quelli che vedono complotti plutofarmaceutici dappertutto.
Ayala, quanto pesa questa prefazione? “Pesa molto e proprio per l’esposizione di Gratteri che è un magistrato impegnato in importanti processi contro la criminalità organizzata. E’ a lui che questa prefazione nuoce per prima. Leggo che ha la legittima ambizione di guidare la procura di Milano. Bisognerà valutare. E poi c’è l’autore …”. Si chiama Giorgianni. “Non mi nascondo. Se fossi imputato a Messina io qualche perplessità a farmi giudicare da lui non potrei che averla”. Carlo Nordio ha parlato di esame psichiatrico per magistrati. Secondo lei è una provocazione o un suggerimento da coltivare? “Non solo è una buona idea. E’ necessaria oggi più che mai. Io credo che servono esami psicologici periodici per i magistrati. Non solo all’entrata in magistratura. Negli anni, la capacità di giudizio si può appannare, deteriorare. Servono esami costanti. La professione di magistrato non è come le altre. Si interviene sulla libertà delle persone. Le persone devono fidarsi. La fiducia è un istituto che si tutela e che si cura. Quella di Nordio è una vecchia idea che, anche alla luce di quanto è accaduto, va presa seriamente. Non si può archiviare come lesa maestà, come offesa”. Violante ha parlato di credibilità della magistratura, della funzione. Vuole provare a spiegare perché in questo caso sia tutto? “Lo faccio con un esempio. Ricordo che a Palermo, e c’era Falcone, alcuni magistrati si presentavano in ufficio con i jeans e la giacca. Un giorno il procuratore Vincenzo Pajno, che non era un bacchettone, ci chiamò. Parliamo di trentacinque anni fa”. Vi chiamò per dirvi cosa? “Per consigliarci di presentarci in altro modo. ‘Che ne dite se in ufficio indossate l’abito?’. Era un modo per tutelare l’immagine e la funzione. Non c’è dubbio che aveva ragione lui. Ci adeguammo immediatamente”. E’ un apologo? “E’ ancora un esempio per dire che il magistrato deve fare attenzione a come veste, a chi frequenta, a cosa scrive”.
Tesi cospirazioniste che affascinano anche i magistrati. Ma perché questa attrazione? “E’ vero. E’ un fenomeno importante. Ci stiamo contagiando di cospirazionismo. Era la vecchia minchiata lanciata al bar e che era patrimonio di quattro amici. Con i social il fenomeno si amplifica. Quel libro è un esempio di minchiata”. C’è il tema irrisolto della discrezione, della riservatezza dei magistrati. Come si spiega questo bisogno di apparire? “Non me lo spiego. E’ un periodo molto difficile per la nostra categoria. Oggi la notizia della collaborazione di Tommaso Buscetta non si potrebbe tenere nascosta per tre mesi. Allora fu possibile”.
Palamara, le prefazioni, le intercettazioni di Trapani, cosa accade? “Non avrei mai pensato di dirlo. C’è una deriva, siamo arrivati ai limiti di credibilità. A volte mi chiedo se per il Csm non sia preferibile il sorteggio. Un tempo sarebbe stato una follia solo immaginarlo. Oggi non lo è”. Siete magistrati o scrittori? Ormai non si contano i libri delle toghe. Con le prefazioni, come si sa, lasciamo perdere. Si risponderà che pure Falcone scriveva. Ayala, finiamo con questa domanda: al posto dei cancellieri è meglio assegnare ai magistrati correttori di bozze e tecnici per la revisione scientifica? “Falcone scrisse ‘Cose di cosa nostra’ con Marcelle Padovani quando si trovava a Roma da magistrato fuori ruolo agli Affari penali. Ed era un libro intervista. Si può scrivere ma con sobrietà. Chi lo dice che i magistrati sono tutti uguali? Non è vero”.