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Il piano di Draghi per avvicinarci alla Libia

Valerio Valentini

I vaccini, l’aeroporto, Leonardo, lo sminamento. Così Roma punta a Tripoli, tra i malumori Pd-M5s

Che gli interessi militari ci siano, e che siano tutt’altro che secondari, pare quasi scontato dirlo. E non si spiegherebbe altrimenti, sennò, il fatto che il governo libico ci abbia tenuto a dare pubblicità avvenuto venerdì scorso a Palazzo Baracchini, tra il ministro della Difesa Lorenzo Guerini e l’ambasciatore di Tripoli a Roma,  Omar Tarhuni. Solo che gli interessi militari, comme il faut, vanno trattati con estrema cautela, o più semplicemente inclusi in un programma diplomatico più ampio, che abbia una coloritura il più possibile civile. Per questo Mario Draghi s’è presentato ad Abdelhamid Dabaiba quasi come un portavoce della volontà europea di aiutare il neonato e già periclitante governo libico in un piano di ripartenza economico. E per questo uno dei primi campi su cui l’Italia offrirà supporto logistico e scientifico sarà proprio quello sanitario, per allestire una efficace campagna vaccinale. E l’altro progetto su cui a Roma già ci si sta dando da fare, oltre alla sempre vagheggiata “Autostrada della pace” lungo la costa, consiste nel ripristino dei collegamenti aerei con Tripoli. Non a caso lunedì, alla vigilia della visita del premier, una delegazione italiana guidata dall’ad dell’Enav, Paolo Simioni, ha svolto un sopralluogo nei dintorni dell’aeroporto della capitale, che andrà ristrutturato e ampliato magari proprio col contributo delle imprese italiane. E in fondo dovranno essere civili anche gli elicotteri che Leonardo proverà a fornire al governo libico, così da non violare l’embargo internazionale: mezzi per il trasporto di personale diplomatico e  forze di polizia, e che fino a qualche mese fa a Tripoli pensavano di acquistare dai francesi di AirBus. Segnali di equilibri che mutano.

 

Se questo è il piano complessivo, però, va detto che tra le pieghe degli accordi diplomatici gli aspetti militari contano eccome, e non solo perché anche la gestione della pandemia dovrà avvenire attraverso strutture e personale dell’Esercito, che del resto già da anni gestisce, proprio con l’ospedale di Misurata, l’avamposto italiano sull’altra sponda del Mediterraneo. E nei dialoghi che Guerini s’è scambiato con Luigi Di Maio, e su cui anche il leghista Giancarlo Giorgetti è quanto mai informato, s’è iniziato a tratteggiare qualche modifica al profilo della nostra missione in Libia. Alla Difesa sperano infatti che venga riconfermato l’impegno italiano nell’operazione di sminamento delle aree intorno a Tripoli, dove restano le mine lasciate dalle milizie di Haftar.

 

Da giugno scorso, su richiesta di al Serraj, un nostro contingente collabora col “Libyan mine action”:  ora si spera di aumentare il numero di militari, in un’operazione che consente di mettere gli scarponi sulla sabbia, e avere un maggiore controllo di un territorio, quello intorno alla Capitale, da cui i turchi difficilmente accetteranno di cedere spazio. 

 

E poi c’è Irini, la missione europea. Anche su quella, come sul fronte dello sminamento, dalla settimana prossima il Parlamento inizierà a confrontarsi, in vista del voto sul rinnovo delle missioni previsto tra giugno e luglio. E qui  le tensioni politiche potrebbero deflagrare, a dispetto della volontà di Guerini e Di Maio di placare le insofferenze nei rispettivi partiti. Perché Irini si porta dietro il nodo irrisolto del controllo delle coste libiche, e dell’addestramento della guarda costiera locale. La Libia, finora, si è sempre rifiutata di cedere il controllo delle operazioni: e di qui passa la battaglia politica e umanitaria che sia a sinistra, sia nel M5s, impone mille distinguo sulla faccenda del pattugliamento delle coste. Una possibile soluzione, su cui Guerini da tempo riflette, è quella di includere l’addestramento della Guardia costiera proprio nel contesto di Irini, così che si esca da una dinamica bilaterale italo-libica e si investa formalmente l’Europa di farsi carico, sia pure sotto la regia della nostra Marina, della gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo. E pare che Matteo Salvini già si freghi le mani, all’idea di eccitare i malumori rossogialli.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.