(Lapresse)

L'Europa salvata da Netflix

Claudio Cerasa

Linguaggio unico, orizzonti e una risposta allo statalismo. Netflix ha fatto con la cultura comune europea quello che non è riuscito a fior di intellettuali. Indagine, partendo da un’idea dell’Economist

Che cosa c’entrano con il futuro dell’Europa titoli come “The Crown”,  “La casa di carta”,  “Love & Anarchy”, “Lupin”, “Emily in Paris”,  “SanPa”? Duncan Robinson è il giornalista che si occupa per l’Economist di monitorare le più interessanti  idee in circolazione in Europa, cura da anni una rubrica bellissima che si chiama “Charlemagne” e sull’ultimo numero del settimanale più famoso del mondo ha dedicato un approfondimento  a un tema da sballo con il quale diversi di noi si sono ritrovati a fare i conti durante l’anno pandemico. Un tema sintetizzabile con una domanda secca: ma vuoi vedere che Netflix sta riuscendo a fare con la cultura comune europea quello che non sono riusciti a fare in questi anni fior di intellettuali? La tesi di Robinson merita di essere prima spiegata e poi commentata.

 

 

Robinson sostiene non a torto che negli ultimi decenni i momenti in cui gli europei si sono seduti di fronte alla televisione a guardare nello stesso momento qualcosa che potesse essere anche lontanamente considerato come un programma europeo sono stati principalmente due: le partite di calcio della Champions league e le competizioni canore dell’Eurovision Song Contest. Nell’anno della pandemia, invece, complice la necessità per milioni di europei di restare per più tempo nelle proprie case, è maturato un fenomeno nuovo che ha avuto come protagonista Netflix e che ha permesso ai cittadini europei di riscoprire attraverso la condivisione più o meno simultanea delle serie tv qualcosa di simile a una nuova koinè culturale.

 

Netflix, che a oggi conta circa 58 milioni di abbonati nel nostro continente e che nel primo trimestre del 2021 ha visto aumentare rispetto al trimestre dell’anno precedente i suoi abbonamenti del 22,8 per cento, ha fatto quello che spesso non è riuscito in questi anni alle industrie culturali dei singoli paesi, trovando una formula magica per europeizzare le identità nazionali e attraverso l’impiego di un piccolo esercito di traduttori e di doppiatori ha reso accessibile a ogni paese europeo i contenuti prodotti in un altro paese. Risultato: le serie tv che un italiano guarda, commenta e critica attraverso piattaforme globali come quelle di Netflix sono le stesse che guarda, commenta e critica uno spagnolo, un tedesco, un olandese, un francese e uno svedese (Netflix offre il doppiaggio in 34 lingue).

 

E così, come ricorda l’Economist, può capitare che un piccolo dramma poliziesco scritto in una lingua poco diffusa come il lussemburghese (“Capitani”) possa essere visto in inglese, in portoghese, in francese e all’occorrenza sottotitolato persino in polacco. Il dato è interessante non solo dal punto di vista commerciale – nel 2015, il 75 per cento dei contenuti originali di Netflix era americano, oggi i contenuti originali americani di Netflix sono circa il 50 per cento e Netflix ha circa cento produzioni in corso in Europa e ha aperto delle sedi locali in molti paesi tra cui l’Italia – ma anche dal punto di vista culturale perché la rivoluzione imposta da Netflix costringe anche i paesi caratterizzati da un minor tasso di europeismo a vedere l’Europa non come un insieme di stati in eterna lotta tra loro ma come un grande mercato unico foriero di grandi opportunità per tutti. 

 

Un mercato che nell’anno passato non solo ha offerto a molti di noi un po’ di sollievo nelle serate meno allegre della pandemia ma ha costretto le industrie culturali dei paesi europei e anche molti governi a osservare il mondo delle piattaforme digitali di streaming con un occhio meno ostile rispetto a un tempo. Nella consapevolezza che quello che veniva descritto non molti anni fa come il principale nemico dell’industria cinematografica di ciascun paese oggi altro non è che il suo migliore alleato. E se il piano di resilienza delle economie europee passerà dalla capacità di trasformare in oro gli aiuti che arriveranno dall’Europa attraverso il Recovery plan si può dire che il piano di resilienza del mondo cinematografico italiano passerà dalla capacità di ogni singolo paese e di ogni singola industria culturale di trasformare in oro la formidabile corsa al profitto che si è andata a innescare in questi ultimi dodici mesi tra i giganti della produzione dei contenuti di intrattenimento online.

 

Una corsa al profitto che, mettendo magnificamente l’uno contro l’altro Netflix, Sky, Amazon Prime, Disney Plus e facendo tesoro di una giusta normativa europea che costringe i broadcaster e le piattaforme di video on demand a produrre in Europa almeno il 30 per cento dei contenuti trasmessi nel nostro continente – norma che permette di salvaguardare la manodopera cinematografica locale e che permette di incoraggiare le coproduzioni tra i vari paesi fondamentali per accedere più ai fondi europei che a quelli nazionali – ha portato gli utenti ad avere un’offerta infinita e ha permesso all’industria cinematografica dei singoli paesi colpita duramente dalla chiusura dei cinema a continuare a produrre, a reinventare se stessa e a costruire un futuro nella consapevolezza che i nemici da combattere non sono i disruptive ma sono tutti coloro che i disruptive li vorrebbero contenere, fermare, arginare, circoscrivere e magari anestetizzare offrendo a problemi globali (il futuro dell’industria cinematografica) risposte autarchiche (la Netflix italiana). Netflix sta alla nuova cultura europea come l’Euro sta all’Europa, con la differenza che a un anno dall’inizio della pandemia trovare qualcuno disposto a organizzare un referendum per uscire da Netflix non è impresa facile, ministero della Cultura a parte.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.