"Netflix politics"
Pregliasco (YouTrend) ci dice perché chi sosteneva la competenza ora ascolta Fedez
Se la diretta col deputato Zan viene seguita da due milioni di persone e guida il discorso pubblico più delle dichiarazioni del segretario del Pd, è chiaro che siamo davanti a qualcosa di nuovo. Issuification, brandification e altri mostri
Cosa hanno in comune i Ferragnez a Citylife con la Coca-Cola ad Atlanta? Se la diretta di Fedez col deputato Zan per discutere della sua legge è stata seguita da due milioni di persone e guida il discorso pubblico più delle dichiarazioni del segretario del Pd, è chiaro che siamo davanti a qualcosa di nuovo.
“C’è un elemento culturale”, dice al Foglio Lorenzo Pregliasco, giovane co-fondatore di Youtrend e Quorum, che fanno indagini demoscopiche e consulenza politica. “Ormai in ogni ambito siamo sempre più abituati a ragionare à la carte. Così anche la politica non fa eccezione. Si parla di politica Netflix". Insomma i partiti-palinsesti non funzionano più. “La tematizzazione, o per dirla con quest’orrida parola, issuification, da parte di figure non partitiche, non elettorali, è in forte aumento. E riguarda anche i brand, per esempio proprio la Coca-Cola, che in Georgia si sta opponendo alla nuova legge elettorale voluta dai Repubblicani, che restringerebbe i diritti degli afroamericani”.
"Non conta molto se a prendere posizione è un marchio o una personalità”, dice Pregliasco. “Secondo una ricerca che abbiamo fatto qualche mese fa su 800 intervistati, in Italia c’è un 16 per cento di consumatori che si definiscono ‘idealisti’, le cui scelte di consumo sono guidate da come i brand si schierano. Una domanda, come si dice, belief driven. Secondo un'altra ricerca Edelman su Brasile, Cina, Francia, Germania, India, UK e Usa, il 53 per cento crede che le aziende possano affrontare i problemi sociali meglio della politica”.
Issuification, brandification e altri mostri. Ma tornando agli influencer – ieri sul Foglio si è scritto dei Ferragnez e del loro crescente impegno “politico” – il rapporto con la politica tradizionale è sempre complicato. “Il primo caso che ha fatto discutere”, dice ancora Pregliasco, “è stato quello del candidato democratico americano Michael Bloomberg che ha fatto largo uso degli influencer. Assoldandone diversi, ma in maniera generalista, con scarso successo”. Invece ora Biden sembra seguire in pieno il canone della Netflix-politics: utilizzandoli su dossier specifici e “parlando” a audience precise. Così il 3 marzo la giovane economista afroamericana The Budgetnista (500 mila follower) ha intervistato in diretta, con domande arrivate dai followers, il direttore del National Economic Council David Kamin (obiettivo, spingere il maxi stimolo economico).
Un aspetto interessante e paradossale, dice Pregliasco, è che il grande riscontro degli influencer arriva proprio nel momento della auto-proclamata fine dell’uno-vale-uno, e col ritorno della competenza. “Ma chi sosteneva la competenza è invece pronto ad abbracciare cantanti e artisti che parlano di vaccini, clima, omofobia, basta che la pensino come loro”.
"La politica-Netflix parla al suo pubblico, insomma, e per il suo pubblico è a volte l’unico contatto con la politica, sono persone che magari altrimenti ne sarebbero fuori, che non guardano i talk show”. Per questo, dice ancora Pregliasco, gli influencer “devono esporsi in modo qualificato. C’è sicuramente un elemento di spontaneità che è positivo, ma allo stesso tempo possono non essere del tutto attrezzati. Dall'altra parte, ci aspettiamo che la politica prenderà in prestito sempre più il linguaggio degli influencer".
E allora ecco il rovescio della medaglia, la politica “vecchia” che si avventura spesso fantozzianamente sui social. E se in America c’è la combattiva Alexandria Ocasio-Cortez che “comunica come un’influencer”, in Italia "due personalità che fanno un uso di Instagram interessante sono Anna Maria Bernini di Forza Italia, che è molto pop, che usa la musica e un sacco di effetti grafici, e al suo opposto Lia Quartapelle del Pd, che utilizza molto le stories per spiegare nello specifico alcune tematiche". I tempi del senatore Razzi e dei suoi balletti su TikTok sono insomma lontanissimi (“lì c’era un chiaro problema di contenuti", dice il giovane consulente; "va bene fare i balletti, ma poi? Infatti Razzi non sta più in parlamento”).