Semplificare non basta. Idee per una riforma della Pubblica amministrazione
Dai concorsi pubblici alle procedure da snellire, non bastano piccoli ritocchi: la Pa deve cambiare volto per superare la sfida del Recovery. Parla Luisa Torchia
Sull’urgenza di intervenire sulla pubblica amministrazione per assumere personale, semplificare le procedure e imprimere una spinta digitale, concordano tutti, compreso il ministro Renato Brunetta. Il disegno di riforma dovrebbe arrivare insieme al Piano nazionale di ripresa e resilienza, con la consapevolezza che senza un apparato burocratico dotato degli strumenti necessari sarà difficile, se non impossibile, riuscire a realizzare i progetti a cui sono destinate le risorse del Recovery.
L’occasione di fronte a cui il paese si trova apre due possibilità: si può assumere, semplificare e digitalizzare mantenendo lo stesso perimetro attuale, oppure si può cambiare paradigma, e cambiare volto alla pubblica amministrazione. Per la professoressa Luisa Torchia, ordinaria di Diritto amministrativo all’Università Roma Tre e coordinatrice dell’Osservatorio sullo stato digitale di Irpa, l’approccio più efficace è il secondo: “Non dobbiamo lavorare su quello che c’è oggi. Dobbiamo capire cosa serve e immaginare quello che vogliamo domani: solo così possiamo disegnare nuove procedure e valutare i fabbisogni in un’ottica coerente con quello che vogliamo ottenere”, dice al Foglio.
Il primo tassello della riforma Brunetta riguarda i concorsi pubblici. Sono stati sbloccati quelli fermi a causa della pandemia e introdotti nuovi protocolli per accorciare i tempi. Ma a monte, dice Torchia manca un presupposto: “Dobbiamo chiederci di cosa abbiamo bisogno: nessuna impresa assumerebbe così, tanto per assumere. Certo, la Pa è anziana e depauperata a tal punto che qualsiasi assunzione può migliorare le cose, ma se si vuole pensare a un apparato davvero efficiente e moderno bisognerebbe iniziare da una verifica dei fabbisogni. E per ora questo mi sembra non sia stato fatto”.
Quello che è stato fatto è invece tentare di ridurre i tempi dei concorsi, “con un’eccessiva enfasi sui titoli e sulle esperienze, tagliando alcune fasi delle selezioni, come se fosse possibile assumere qualcuno senza neanche fare un colloquio”. Invece, spiega Torchia, non basta tagliare alcuni passaggi o digitalizzare ciò che oggi è ancora analogico per ottenere una semplificazione capace di imprimere un cambiamento positivo nella pubblica amministrazione. E questo vale per i concorsi come per le autorizzazioni. “Bisognerebbe ridisegnare le procedure amministrative abbandonando l’idea che sia utile recuperare pochi giorni grazie a qualche passaggio in meno. Anche la digitalizzazione non può essere un semplice trasferimento di ciò che c’è oggi dalla carta al digitale, così non serve a niente”.
Per fare questo non basta una norma. “Serve riunire le persone che conoscono le procedure e gli esperti di tecnologie intorno a un tavolo: così si può intervenire proponendo un approccio nuovo, prendendo le procedure per categorie e valutando cosa si può fare con l’intelligenza artificiale, con la blockchain e con gli algoritmi. E la cosa migliore, in questo momento, sarebbe iniziare con le procedure che servono per l’attuazione del Pnrr, dalle infrastrutture all’ambiente”. Lo stesso vale per fare una ricognizione del fabbisogno di personale, che permetterebbe di avviare assunzioni mirate e ben distribuite: “Oggi bisognerebbe fare un grandissimo sforzo per individuare le competenze di cui abbiamo bisogno per riuscire a spendere le risorse europee, capire dove c’è più bisogno di assumere e per quali servizi”. Questa, dice Torchia è la strada giusta per cambiare il volto dell’amministrazione pubblica rendendola “più giovane, più femminile, più moderna, più informatizzata, più capace di interagire con la società”. Il Recovery deve insomma essere la bussola per una riforma efficace della Pa, senza cui il successo dello stesso progetto europeo sarebbe in discussione. “Non c’è solo in gioco l’utilizzo delle risorse da parte dell’Italia, ma anche un modello europeo più solidaristico rispetto al passato: sulla capacità dell’Italia di farlo funzionare si gioca parecchio di questo approccio europeo nuovo, e secondo me positivo. L’Ue non può permettere che l’Italia perda questa sfida”.