Dell'ecologismo ci piacciono i monopattini, non i suoi costi aggiuntivi
Non siamo in Francia o Germania. Da noi il partito delle ciclabili è a zero virgola, girano più bici che voti, il Verde è ovunque ma non proprio incardinato nella nostra opinione profonda o anima che dir si voglia
In fama di onnipotente, e garante universale, Draghi non è il tipo che sottovaluta i problemi da gestire, e sarebbe difficile sottovalutare lui stesso. Spero però abbia letto un intervento, come sempre sulfureo, di Marco Ponti, scienziato dei trasporti di riconosciuta dottrina, contrarian per principio (ha scritto un libro dedicato alle “grandi operette”), tecno-liberale intinto di keinesian-marxismo. Scrive nel Fatto di ieri il Ponti che, come dice Thomas Piketty, da lui citato, la stagione d’oro della redistribuzione della ricchezza e della riduzione delle diseguaglianze è stata quella della crescita forte e volitiva, nel secondo cinquantennio del secolo Ventesimo: no crescita, no party per le moltitudini. Aggiunge che la rivoluzione Verde o transizione ecologica costicchia parecchio: “Ci si potrebbe chiedere: esistono politiche verdi che fanno crescere l’economia e distribuiscono meglio il reddito? A priori no: a parità di utilità di un prodotto, uno ‘verde’, nella maggior parte dei casi, costa di più, o ci penserebbe il mercato e il problema ambientale sparirebbe spontaneamente”. Conclude: “In estrema sintesi, occorre evitare luoghi comuni di moda, che appaiono tanto più deleteri quanto più occorre gestire contemporaneamente due problemi epocali, come la distribuzione della ricchezza e l’ambiente, che a priori sembrano molto più densi di conflitti che di aspetti comuni”.
La transizione ecologica pare sia una cosa importante, e molto, infatti oltre un terzo delle risorse del piano eccetera di ricostruzione euro-nazionale vi saranno impegnate, almeno teoricamente, secondo i desiderata di un vasto arco di forze. Sarebbe sciocco domandarsi se non sia “una boiata pazzesca”, visto che come noi si può essere negazionisti radicali (gretismo) ma ambientalisti moderati. Posto però che sia euro-necessaria, quali ne saranno le conseguenze su lavoro e consumi, su costi e assetto della produzione, specie in relazione ai benefici? I dubbi sono legittimi. Quanto ha pagato la Francia per l’aumento della tassa sui carburanti non ecologici (gilet gialli), da tutti i punti di vista?
In Italia abbiamo un problema aggiuntivo. Mentre in Germania i Verdi sono parte stabile e rampante del panorama politico e istituzionale, e in Francia hanno conquistato posizioni influenti nelle città, e stanno cambiando con le loro idee e ideuzze il volto della capitale della vecchia Europa, Parigi, da noi la filosofia Verde sa di poco, e a parte le intemerate cabarettistiche di Grillo, oggi impegnato in altro, non ha prodotto politica e cultura degne di questo nome, pochi voti, minoranze transigenti, ministri parecchio sputtanati all’opera (o all’operetta).
Da noi, come direbbe Ponti, la sapienza diffusa è che se si produce si deve vendere, il ciclo ha un suo costo ambientale evidente, e c’è più spazio per gli sversamenti o altre vie spicce di crescita più o meno infelice, anche nei famosi territori, che per decrescite felici e parchi-gioco. Anche noi ci specializziamo in conversione energetica, ciclabili e monopattini, ma hanno tutta l’aria di fenomeni imitativi che non appartengono alla coscienza nazionale diffusa. Il partito delle ciclabili è a zero virgola, girano più bici che voti, il Verde è ovunque, perfino nei grattacieli degli architetti di grido, ma non proprio incardinato nella nostra opinione profonda o anima che dir si voglia. Può essere che mi sbagli, e sarebbe meglio così, ma ho l’impressione che per la transizione ecologica sono pronti gli stanziamenti, ma per i suoi costi aggiuntivi e peculiari nessuno sia disposto a stanziare il suo.