La storia
Uno stipendio per Enrico. Caro Letta, è dem farsi pagare
Ha lasciato tutti gli incarichi e rifiutato lo stipendio. La vera sfida? Percepirlo
Il paradosso di Letta. Rinuncia allo stipendio da segretario, ma gira voce che sia lui ad averlo chiesto al Pd. E cosa ci sarebbe di male? Si dedica al partito, non ha altre retribuzioni. Sono scorie di cultura stracciona e M5s. Il Pd riparta da qui. Il lavoro si paga
Segretario Enrico Letta, vuole fare una battaglia democratica e di sinistra? Si faccia retribuire. C’è un’occasione irripetibile per sconfiggere questa cultura stracciona, per smontare una volta per tutte l’idea che il lavoro non si paga e che la politica sia solo un passatempo. Senta questa per capire come funziona. Ha rifiutato lo stipendio. Ha lasciato tutti i suoi incarichi precedenti. Bene. Sa cosa si dice in giro? Che lei abbia chiesto al Pd uno stipendio. Dirà: “Ma queste sono fantasie, ma chi le mette in giro?”. Innanzitutto se questa voce è arrivata fino a noi significa una cosa sola. Significa che è partita e che sta girando. Significa che non è una voce di un avversario ostile e malandrino. In quel caso l’avremmo scartata senza pensarci.
E invece abbiamo dovuto verificarla. Al contrario di altri giornali, quei giornali che coltivano la retorica sulla politica come “servizio”, sul francescanesimo accattone, la notizia è per noi un’altra. La notizia non è, e si ripete non è, che lei lo abbia chiesto (e non lo ha chiesto). La notizia è che abbia risposto “no, grazie” anziché dire “è giusto, decida il partito quanto debba percepire”. Non c’è dubbio. Qui piace sempre andare e scrivere contromano, mettere i baffi alla Gioconda. Ma per fortuna non siamo soli. La vera cosa bella, la cosa che più inorgoglisce è sapere che c’è una persona di buonsenso. Si chiama Walter Verini ed è il tesoriere del Pd. Lo ha voluto l’ex segretario Nicola Zingaretti. Ha fatto un’ottima scelta. E’ un uomo che si occupa di giustizia e che fa buone letture. Ci ha spiegato come è andata. Vale quanto un apologo.
Un passo indietro. Prima di Letta la carica era occupata da Zingaretti che era anche, ed è rimasto, presidente della regione Lazio. Quello era il suo stipendio. Gli bastava. Il partito organizzava i suoi viaggi da leader, provvedeva alle spese di rappresentanza. E’ chiaro che chi siede in parlamento, che chi guida una regione, interpreta il suo ruolo da segretario in maniera diversa. Ma è forse questo il caso di Letta? No. C’è di più. Stiamo parlando di chi (ed è stato il primo a farlo, dopo le esperienze da premier, ministro, deputato) ha deciso spontaneamente di abbandonare il parlamento. Ha scelto di “imparare”. Ha deciso di mettersi in gioco professionalmente. Prima ha fondato una scuola politica di successo dedicata al suo maestro Beniamino Andreatta. Dal 2014 si è poi trasferito a Parigi per insegnare nella prestigiosa Sciences Po. Ai suoi studenti ha sempre consigliato: “Preparatevi per il dopo, non pensate che si possa vivere solo di politica”. Ma dove è scritto che chi fa politica debba vergognarsi di farlo e di viverci? Si sa troppo bene chi lo pensava (il M5s) ma anche quelli non la pensano più così.
Letta ha scommesso su se stesso. Ha ricominciato una nuova vita. Quando il Pd lo ha chiamato ad assumere la guida, si è preso tempo. Aveva bisogno di riflettere perché, come ha precisato, “devo lasciare quanto ho costruito in questi anni”. E’ stato di parola. Nel suo discorso d’insediamento si è fatto piccolo e ha chiesto all’assemblea dei democratici di poter mantenere solo la presidenza del Jacques Delors Institut. E’ un ruolo non pagato. In questo momento si sta dedicando ogni giorno al partito. E’ un dirigente. Il primo dirigente. Quanto guadagna un dirigente nazionale del Pd? Dice Verini: “Guadagna circa tremila euro, credeteci, siamo parsimoniosi”. Si ragiona su una sua eventuale candidatura a Siena, alle elezioni suppletive, ma non accadrà prima di ottobre. Non serve a fargli avere uno stipendio, ma serve per averlo nuovamente nelle istituzioni. Ma perché Letta non dovrebbe prenderlo?
Risponde sempre Verini: “Sono stato io che ho posto il problema. Mi sembrava corretto. Non ha incarichi, ha lasciato quelli che aveva. Gli ho posto la questione”. E lui cosa ha risposto? “No, grazie. Se ne parlerà”. E’ un modo cortese, un modo di dire, “non parliamo di queste cose”. Non si è sciocchi. Nel Pd ci sono dipendenti in cassa integrazione. Qualcuno potrebbe suggerire: “E’ un bel gesto, quello suo. Finalmente”. Ma non è invece la prova che un partito è una macchina complessa e che chi lo amministra deve occuparsi di tenere a bada Matteo Salvini, ascoltare la base, disegnare la linea politica, studiare come vincere le elezioni e occuparsi perfino del destino dei suoi dipendenti? Chi gestisce società in sofferenza per mettere fine alla sofferenza degli altri smette per questo di guadagnare? Su una cosa tutte le correnti del Pd sono d’accordo. Il Pd è il partito che deve difendere i precari, il partito che crede nel lavoro. Ma come fa un partito che crede nel lavoro ad avere un segretario che non si fa pagare? Crede forse che il suo lavoro sia così scadente da non meritare un salario? Crede forse che la politica debba farla solo chi ha guadagnato al punto da poter perdere un po’ di quanto si è messo da parte? Non solo non è un pensiero riformista. E’ un pensiero tontolone. E’ una scoria del grillismo con una differenza: Grillo sul denaro non transige. Uno stipendio misura la fatica e non il privilegio. Il Pd riparta da qui: uno stipendio per Enrico.
L'editoriale dell'elefantino