Elezioni a Milano e Roma
Albertini, Moratti e Bertolaso. Il centrodestra smarrito cerca una fuga vintage
La sinistra può contare sugli uomini di apparato, dall'altra parte ci dovrebbe essere il ceto dinamico degli imprenditori. Ma da quel mondo Salvini incassa solo spallucce
Com’è noto in tutto il mondo va di moda il vintage, ragione per la quale c’è stato il rilancio del vinile e delle musicassette, degli occhiali tartarugati e dei golfini Missoni. E tutto ciò è avvenuto forse perché nel recupero dell’usato s’avverte sempre un piacevole cortocircuito tra passato e futuro. Nella moda il fenomeno è stato definito “conturbante”, nella musica è “nostalgico”. Ma in politica? Cos’è il vintage in politica? E’ quello che ci si chiede in queste ore osservando Matteo Salvini, che lunedì ha preso un caffè con Gabriele Albertini, pensando di ri-candidare a Milano il vecchio grande sindaco del 1997. E questo dopo che per mesi Salvini aveva coltivato - e senza probabilmente averci ancora rinunciato - anche l’idea alternativa di Letizia Moratti.
Mentre a Roma, il candidato ufficioso del centrodestra salviniano è invece il buon vecchio Guido Bertolaso, l’uomo di tutte le emergenze e di tutte le tragedie del recente passato: chi mai meglio del settantenne Bertolaso, che da vent’anni indossa l’elmetto e le scarpe grosse della protezione civile, può occuparsi di quell’immobile catastrofe chiamata Roma? Ma poiché la politica e più in generale l’amministrazione della cosa pubblica sono (o dovrebbero essere) la prefigurazione dell’avvenire (e non la riedizione dell’avvenuto) ecco che in questa tendenza al revival nelle candidature a sindaco del centrodestra emerge forse qualcosa di disfunzionale. Che merita attenzione. C’è infatti sempre qualcosa di stonato nella sconfitta del nuovo e nel rimpianto come progetto, nel “come eravamo” spacciato per strategia politica. Insomma in questa tendenza vintage c’è qualcosa che racconta delle difficoltà di Salvini e del centrodestra in generale.
La nostalgia infatti in questo caso non è una forma di marketing reazionario, non è nemmeno l’idea (non condivisibile ma comprensibile) di un paese di vecchi fatto per i vecchi e dunque necessariamente governato dai vecchi. Nel revival che Salvini vorrebbe imporre a Roma e a Milano c’è qualcosa di ben più insidioso: uno smarrimento che deriva dalla mancanza di idee e di alternative. Una forma sottile di disperazione che ci porta ben al di là del solito revival estivo con Bobby Solo e i cugini di campagna, molto oltre il cuore incollato allo specchietto retrovisore dei concerti dei Rolling Stones o di Bruce Springsteen.
La sinistra infatti ha gli uomini di apparato, e con questi se la cava, si chiamino Roberto Gualtieri o Nicola Zingaretti. Il centrodestra invece, che dovrebbe avere con sé il ceto più dinamico, quello dei lavoratori autonomi e degli imprenditori, raccoglie da quel mondo (che pure vota a destra) solo dinieghi, defezioni e scrollate di spalle. Nessuno vuole candidarsi. Le persone di valore temono la politica, avvertono il rischio di ritrovarsi in galera attraverso una delle mille strettorie che a Milano, per esempio, ha imposto la procura. E quando Salvini si avvicina rifiutano. Si ritraggono. Così non resta che il remake. L’unica alternativa agli uomini di apparato è il revival, il vintage. Con il rischio tuttavia che proprio nell’epoca della transizione digitale e del Recovery Fund una città globale come Milano cerchi l’indirizzo del mondo attraverso “Tutto Città”. Mentre nel frattempo Shanghai e Los Angeles usano GoogleMaps.
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