Il caso

Roma, Letta stringe su Gualtieri. Zingaretti: "Non lascio la nave"

Si accende la sfida dei dem al Campidoglio. E anche Bertolaso sembra pronto a ritornare nella Capitale

Simone Canettieri

Il segretario del Pd sente e vede l'ex ministro dell'Economia: l'annuncio a ore, si candiderà alle primarie.  La scelta dopo l'ultimo no del governatore del Lazio. 

Nicola Zingaretti lancia l’attestato vaccinale digitale nel Lazio, Roberto Gualtieri viene avvistato (ma negare è d’obbligo) al Nazareno per ottenere l’attestato del Pd a candidato sindaco di Roma. Questione di ore per l’annuncio, massimo un paio di giorni.
Entrambi, il governatore e l’ex ministro dell’Economia, parlano con Enrico Letta. Via chat il primo; al telefono e poi di persona (ma negare è d’obbligo) il secondo. 

Sono destini che si incrociano. Strade che sembrano sovrapporsi, salvo prendere destini diversi. 
O l’uno o l’altro. Siamo sempre qui, ma sembra esserci una svolta, un crocevia sulle consolari che portano al Campidoglio.
 Perché Zingaretti, sempre in giornata, dice in chiaro che “non fuggirà dalle sue responsabilità” di presidente di regione. (D’altronde a SkyTg24, per l’ennesima volta, c’è stato un giornalista che gli ha chiesto “ma insomma, si candida a Roma?”. E l’ex segretario del Pd ha ribadito così il suo no: non lascio la mia nave in piena pandemia). 

Intanto, nella sede del Pd, con la discrezione con cui si chiude l’ultima posta in bilancio di una manovra delicatissima, Gualtieri parla con Letta. E gli dice di sì. Correrà alle primarie, con la pettorina del predestinato. Per sfidare poi in autunno la destra (Guido Bertolaso annuncia di aver terminato la missione in Lombardia), Carlo Calenda (per Azione!) e Virginia Raggi, la sindaca che tenta l’impossibile e che vuole succedere a se stessa. Forte, sostiene la grillina, di sondaggi in almeno quattro municipi periferici, i più popolosi, che la darebbero al trenta per cento. Quanto basta per sperare nel ballottaggio, visto che nelle zone centrali per miracolo arriva alla doppia cifra, ma alla fine è la media ciò che conta. Letta sa che Zingaretti a Roma è più forte di Gualtieri, più conosciuto, più radicato nei palazzi, nelle piazze.
 

Gualtieri sa che se non c’è Zingaretti in campo, gli tocca. Punto e basta. Piccola premessa: attualmente l’uomo che ha portato il Recovery in Italia con Giuseppe Conte è un deputato semplice. Ogni tanto nei corridoi della Camera incrocia Bonafede e Fraccaro, altri due ex ministri come lui, e subito scattano lunghe chiacchierate. Momenti amarcord: quante ne abbiamo viste, quante ne abbiamo fatte, che peccato che sia finita così, senza nemmeno un perché. Ora Gualtieri potrebbe mettersi a fare conferenze in giro per il mondo o pigiare un bottone a Montecitorio come l’ultimo dei peones. O, appunto, candidarsi sindaco. Rilanciarsi. Sicché l’ex titolare dell’Economia discute con il segretario del Pd di modi e tempi della candidatura e soprattutto chiede che sì, proprio il governatore lo aiuti in questa sfida non proprio facilissima. “Nicola dovrà essere il suo Bostik”, dicono amici comuni di casa Pd riferendosi all’infallibilità della colla. Che tutto appiccica e tutto tiene unito. Il governatore dovrà spingerlo, uscirci insieme in campagna elettorale e magari, prima ancora, dire che il 20 giugno, alle primarie, lo voterà senza indugi: con Gualtieri si vince.
Il segretario del Pd è consapevole che con Raggi in mezzo c’è il rischio di non arrivare al ballottaggio. Ha provato in tutti i modi a farla convincere da Giuseppe Conte a desistere, ma la sindaca non ci pensa nemmeno per sogno. 
Chi sta vicino al segretario lo rincuora: “Enrico, male che vada ci rifaremo con Milano, Napoli, Torino, Bologna: lì si vince”. 
Ma il nuovo leader del Nazareno rimane fermo. Non commenta: sa che una disfatta a ottobre nella Capitale potrebbe aprirgli sotto i piedi una di quelle voragini che punteggiano la Salaria. Meglio non pensarci. 

La cosa è un po’ surreale. Perché alla fine, a Roma, sono in pochi a credere che si chiuderà così. Molti pensano che questa eterna fiction della sinistra porti – non si sa come, magari di carambola e l’ultimo giorno utile – al ripensamento dello “zar Nicola”, come lo chiamano in regione. 
Il governatore è capace di tutto, dopo le dimissioni da segretario del Pd, così a bruciapelo. Ma anche dopo “o Conte o elezioni anticipate”. 
Ma questa volta, per la prima volta, sembra che la faccenda sia chiusa: Zingaretti teme un election day (Regione-Comune) con il M5s in frantumi e la vittoria secca della destra nel Lazio. Al Nazareno dunque non possono fare altro, al momento, che cercare il Bostik per Gualtieri.

 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.