(foto d'archivio Ansa)

l'intervista

“Ora bisogna far ripartire i servizi della Pa”. Parla l'assessore capitolino De Santis

Gianluca De Rosa

"La scelta di far cadere l'obbligo di smart working è tempestiva", dice il responsabile del Personale della più numerosa pubblica amministrazione d'Italia, cioè Roma

In un certo senso è la rivincita del travet. Fannulloni, furbetti del cartellino, scansafatiche. Eppure senza la presenza negli uffici dei dipendenti della Pubblica amministrazione i servizi annaspano, gli investimenti non decollano. Lo smart working è una novità utile, ma tra infrastrutture digitali carenti e problemi organizzativi, ci si è resi conto presto che il lavoro agile può integrare le modalità tradizionali, ma non sostituirle del tutto. Per certe mansioni non sostituirle affatto. Il ministro alla Pubblica amministrazione Renato Brunetta lo ha annunciato due giorni fa: “Da maggio si torna in ufficio”. Con un decreto è stato cancellato l’obbligo per tutte le pubbliche amministrazioni di tenere, con turni alterni, almeno il 50 per cento del personale in smart working. Una possibilità di riduzione, non un obbligo. Antonio De Santis, assessore al Personale della più numerosa Pubblica amministrazione d’Italia, il comune di Roma, è favorevole alla svolta voluta dal ministro forzista. “E’ una decisione tempestiva, anche perché da due giorni la campagna vaccinale ha cominciato a marciare con i ritmi giusti”, dice. “Le modalità di lavoro innovative sono importanti ma in un’ottica complessiva in cui non si perde di vista quella che è la qualità dei servizi da offrire”.

A Roma lo smart working è stato all’inizio applicato in modo massiccio. A marzo 2020, su 10.400 dipendenti ben 9.210, l’88 per cento, lavoravano da casa (gli impiegati capitolini sono in realtà oltre 23 mila, ma 6.618 sono gli insegnanti della scuola dell’infanzia e degli asili nido, 6 mila gli agenti della Polizia locale, due categorie chiaramente escluse dal lavoro agile). Negli uffici per mesi sono rimasti solo i lavoratori che svolgono servizi essenziali o indifferibili come l’erogazione dei buoni spesa o del bonus affitto. I numeri si sono poi progressivamente ridotti fino ad arrivare, appunto, alla soglia del 50 per cento stabilita dalla legge.
 
E adesso che cosa accadrà? “Il nostro obiettivo – ci dice l’assessore – è far funzionare i servizi. Questo significa che l’amministrazione insieme ai sindacati e ai lavoratori dovrà fare tutti gli interventi opportuni. Ci sono casi dove il lavoro da remoto ha funzionato molto bene, altri dove invece è assolutamente necessario tornare in presenza, anche perché con il Recovery Plan gli investimenti dovranno essere fatti in fretta e le pubbliche amministrazione avranno un ruolo centrale”. Per De Santis sul tema “non serve un approccio ideologico: lo smart working ha potenzialità sulle quali non vogliamo tornare indietro, ma bisogna vedere dove le cose funzionano e dove, invece, è meglio cambiare”.

A Roma, a proposito, negli ultimi mesi le cose non sono andate benissimo: dalle attese di mesi per i cambi di residenza allo scandalo delle cremazioni. E’ colpa dello smart working? “Sulle cremazioni i problemi riguardano Ama…”. Ma le firme per le autorizzazioni le mette il comune, le imprese funebri hanno proprio lamentato il doppio passaggio: Ama fa l’istruttoria e il comune autorizza. “Esattamente, ma trattandosi di servizi essenziali, è stata garantita la presenza fisica dei dipendenti per quel servizio, i ritardi non sono imputabili alla ratifica del responsabile di Roma Capitale, ma all’attività della municipalizzata”. Anche l’anagrafico è un servizio essenziale, e allora perché questi ritardi? Secondo De Santis anche in questo caso lo smart working non c’entra. “Recentemente Abbiamo cambiato il sistema informatico vecchio di 30 anni e siamo entranti all’interno dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente, un passaggio che ha comportato la migrazione di milioni e milioni di dati. Si tratta di due cambiamenti di portata storica che avranno impatto sul lavoro dei dipendenti e garantiranno un netto miglioramento dei servizi offerti ai cittadini. Purtroppo il passaggio ha comportato alcune criticità che però sono in via di risoluzione. A lasciare le cose com’erano mi sarei risparmiato molti impicci, ma sarebbe stata la scelta sbagliata”. 

L’assessore capitolino non nega però che su altre cose lo smart working abbia avuto un impatto negativo: “Da un giorno all’altro ci siamo ritrovati a dover fare una vera e propria rivoluzione. Qualche problema è anche fisiologico che possa esserci stato. La vera questione però è il grande ritardo che non solo il comune di Roma, ma le Pa di tutto il paese hanno sulle infrastrutture digitali e tecnologiche. Ci auguriamo che con il Recovery si possa fare un bel balzo in avanti”.