Salvini cerca uomini d'impresa a Milano e Roma, ma non li trova
I casi Albertini e Bertolaso: ecco come l’antipolitica impedisce ai migliori di fare la politica
Il ritiro di Gabriele Albertini e Guido Bertolaso, e ancora prima di Letizia Moratti, a Roma e a Milano, ha per il momento trasformato quella che si configurava come una gara elettorale “tra vecchie glorie” di centrodestra e “burosauri” di centrosinistra in un placido pascolo dei soli e rassicuranti uomini di partito del Pd. Già non era entusiasmante prima. Figurarsi adesso. A Roma la candidatura più probabile della sinistra è quella di Nicola Zingaretti mentre l’alternativa di freschissimo apparato, qualora l’ex segretario non possa, è quella di Roberto Gualtieri, l’ex ministro dalemiano dell’Economia nel governo del Bisconte.
L’apparato del Pci-Pds-Ds-Pd è una riserva, rappresenta la stagionata sicurezza del partito eterno. Un serbatoio. A destra invece c’è il deserto. La sfilza dei dinieghi. L’horror vacui. Il nulla. Ragion per la quale Matteo Salvini e Giorgia Meloni dopo essersi accusati l’un l’altro d’essere dei signor no e degli incapaci, ora si ripromettono d’incontrarsi e decidere entro la settimana prossima: un candidato eccellente per Milano e uno per Roma. Chissà. La tragica verità che emerge è che candidati della società civile, del mondo dell’imprenditoria e del lavoro autonomo, persone che appartengano insomma al ceto dinamico cui il centrodestra ha l’ambizione di rivolgersi, non se ne trovano. E per questo Salvini, scendendo per li rami, era tornato da Moratti e poi da Albertini. E’ d’altra parte sempre la nausea del presente che rende rassicuranti gli amori (e gli odi) del passato.
Nessuno vuole candidarsi. Nessuno che abbia avuto successo nella vita. Nessun leader d’impresa, nessun uomo del fare. E’ come se nessuna persona di talento e perbene voglia consegnarsi alla politica. E come dargli torto? Nel migliore dei casi oggi un sindaco che non voglia limitarsi a galleggiare finisce indagato. L’abuso d’ufficio viene distribuito come il pane. Talvolta si rischia pure la galera per una firma. E per soprammercato si va incontro pure al discredito, alla solitudine, allo spernacchiamento. Un’esistenza miserabile che non riguarda soltanto gli amministratori locali. Ma pure i parlamentari. Così la domanda è: che tipo di persone attira oggi la politica? I migliori o i peggiori?
Quasi cinquant’anni fa un uomo elegantissimo come Mimì La Cavera, l’imprenditore siciliano e politico liberale, raccontava che “per candidare le persone di valore dobbiamo metterci in ginocchio”. E ancora non esisteva la legge sul traffico d’influenze, i parlamentari erano protetti dall’immunità prevista dalla Costituzione, esisteva il vitalizio, la diaria non era un furto, il Parlamento non era un orpello da tagliare per risparmiare 80 milioni l’anno, c’era riconoscimento sociale, e le banche per decidere se concedere una linea di credito non chiedevano alle persone se erano “politicamente esposte” allo stesso modo in cui ai criminali si chiede il casellario giudiziale. I sentimenti antipolitici esistevano, ma erano contenuti, come accade in tutte le democrazie sane. Poi è cambiata ogni cosa. Così chi si avvicina alla politica, oggi, è più spesso uno che non ha niente da perdere. Più spiantati che ben piantati. L’insigne modello è il giovane grillino medio, uno come Carlo Sibilia, per esempio, il sottosegretario persuaso che l’uomo non è mai stato sulla luna e che Dio ha creato il mondo in tre giorni. E almeno lui non è un malandrino. Solo un citrullo. D’altra parte perché mai un uomo di valore dovrebbe rimetterci con la politica? Per noia, follia, santità?