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Dissimulator Letta

Salvatore Merlo

Salta l’alleanza con i 5 stelle? E lui: “Forza Milan”. Crolla il suo piano strategico? “Viva Gualtieri” 

Mentre le agenzie davano l’impietosa notizia, ovvero che il patto per le amministrative coi grillini era esploso a Roma, mentre anche le chat dei parlamentari del Pd s’infiammavano immaginando a cascata la fine di ogni accordo pure a Napoli e altrove, in pratica  il naufragio del “centrosinistra largo” da lui inseguito e teorizzato, ecco che Enrico Letta domenica pomeriggio afferrava il suo cellulare twittando di giubilo per la candidatura a sindaco di Roberto Gualtieri. In pratica Letta festeggiava la candidatura che lui aveva cercato d’impedire in ogni modo a partire da marzo, quando l’ex ministro dell’Economia si era offerto con prepotenza e allora lui gli aveva risposto così, irritato: “Nulla è ancora deciso”.

 

Letta voleva un candidato unitario con i 5 stelle. Voleva Nicola Zingaretti. Questo gli aveva d’altra parte promesso anche Giuseppe Conte. Vatti a fidare. E’ finita con Virginia Raggi candidata per i grillini, Gualtieri candidato per il Pd e Carlo Calenda candidato per se stesso. Così, domenica, Letta, probabilmente con l’espressione di quello che si trova una lumaca nell’insalata, ha twittato: “Roberto!”. Punto esclamativo. Evviva! E poi una serie di emoticon. Tre bicipiti maschili, per l’esattezza. A voler significare  prestanza, parrebbe. Un bicipite giallo, un bicipite bianco e un bicipite nero (si presume nel rispetto del ddl Zan  o, chissà,  di United Colors of Benetton).

 

Già nel 1641 il moralista napoletano Torquato Accetto pubblicò il  trattato politico “della dissimulazione onesta”, secondo il quale per l’uomo di potere è perfettamente legittimo, anzi necessario, tenere per sé i dispiaceri e magari rovesciarne – se possibile – il senso in pubblico. Accetto ovviamente non poteva conoscere i social media, Twitter, né tanto meno il Milan e le partite con la Juventus, specialmente quelle utili per la qualificazione in Champions League. Altrimenti avrebbe di sicuro apprezzato, quattrocento anni dopo, gli sforzi del suo allievo segretario del Pd. E infatti nella sera della disfatta, mentre crolla l’intero progetto strategico di alleanze su cui poggia (bettinianamente) l’impalcatura della sua segreteria, ecco che Letta si abbandona anche a una raffica di tweet su Milan-Juventus. Sono le 22. Il ribelle Marcucci comincia a lasciar intendere che stia venendo tutto giù. Il nervosismo è palpabile. E il segretario su Twitter sembra Vittorio Gassman che va allo stadio nei “Mostri” di Dino Risi: “#mavieniiii”. Il Milan ha segnato il 3 a 0. Passa qualche minuto. L’ala belligerante di Base riformista, la corrente contrarissima all’alleanza con i 5 stelle, riflette su come capitalizzare l’accaduto. Matteo Orfini si scatena al telefono: “Ve l’avevo detto io che di Conte non ci si può fidare”. E Letta? Il segretario, ormai artista nella non disprezzabile arte di arrangiarsi, festeggia la vittoria del Milan con una serie di cuoricini rossoneri: “#grazieragazzi”. Nello spettacolo, questo genere di quadri viene chiamato pantomima. Genere teatrale che Diderot – non a caso – definiva “una parte del dramma”. Allegrezza apocrifa e conclamato rosicamento. Soltanto due infatti sono (anzi erano) i cardini della segreteria Letta. Uno: la capacità d’influenzare il governo Draghi. Due:  l’alleanza con i 5 stelle. Il primo cardine l’ha mezzo divelto Salvini, che si atteggia a  ultrà draghiano. Il secondo cardine se lo sono portato via domenica sera Conte e Raggi. Forza Milan! A Letta non resta che svolgere con gli odierni mezzi della tecnica quello che un tempo i suoi maestri facevano con cristiana rassegnazione. Dissimulare. Finché si può. A questo proposito risulta utile anche un altro suo tweet, una vignetta di Ellekappa per il tesseramento: “Vieni nel Pd e potrai ammirare la nostra collezione di segretari”. Qui non è più dissimulazione, ma forse prefigurazione. 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.