il retroscena

Giorgetti segue la rotta tedesca per Ita, ma per Salvini è un problema

Valerio Valentini

Il ministro dello Sviluppo in conclave con Franco e Giavazzi per sbrogliare la matassa di Alitalia. Lazzerini confessa: "I contatti con Berlino sono solidi". La pista che porta a Lufthansa. I malumori dentro la Lega: "Così per noi è difficile"

Che sia un’opera di sabotaggio, non ci crede nessuno. “Se Salvini se ne esce con quelle dichiarazioni contro l’Europa, di sicuro Giorgetti lo sa”, sorride Gilberto Pichetto. “Resta solo da capire se questo inasprimento di toni, ora, servirà a chiudere la trattativa o a riaprirla”. Difficile da dirlo, anche per lui, senatore di Forza Italia, che sta lì, nella trincea di Via Veneto coi galloni di viceministro, perché sulla trattativa in esame, cioè quella che riguarda Alitalia, Giancarlo Giorgetti non condivide nulla con nessuno, o quasi.

 

In effetti, c’è chi al dossier che il titolare dello Sviluppo economico tiene sempre con sé, ha accesso. A Palazzo Chigi la faccenda è seguita direttamente da Mario Draghi per tramite del suo consigliere economico, quel Francesco Giavazzi che nel giugno del 2020, di fronte all’ennesimo salasso per la irredimibile “compagnia di bandiera”, dalle colonne del Corriere spiegava quanto non fosse affatto virtuoso “prendere a prestito un euro per tenere in vita un’impresa che non è profittevole, né prima del lockdown, né dopo” la pandemia, aggiungendo che “i tre miliardi di euro spesi per salvare Alitalia ne sono un esempio”.

 

Si diceva, all’epoca,  che sarebbero stati gli ultimi. E invece nelle scorse ore Giorgetti s’è visto col ministro dell’Economia, Daniele Franco, proprio per concordare i dettagli della cosiddetta “norma Ita”, ovvero l’ennesimo versamento - almeno 800 milioni - nel pozzo senza fondo della compagnia, attraverso quel decreto “Sostegni bis” che il Cdm dovrebbe varare mercoledì o giovedì. L’esborso servirebbe a risolvere un problema che diventa ogni giorno più assillante: il tempo. “Bisogna fare presto, ed è per questo che abbiamo promosso una risoluzione da votare giovedì prossimo, e per questo dalla settimana che verrà riprendere le audizioni ai ministri Giorgetti, Franco e Giovannini”, ci dice Raffaella Paita, di Iv, presidente della commissione Trasporti alla Camera. E sembra un po’ il giorno della marmotta. Quando è stato interpellato dai senatori, il 4 maggio scorso, l’ad di Altalia Fabio Maria Lazzerini ha indicato il cronoprogramma: “Da quando il governo e l’Ue troveranno un accordo, ci vorranno due mesi per far decollare il piano di Ita”. La scadenza fissata era quella del 1° luglio: “E’ indispensabile non perdere la stagione estiva, per dare subito slancio alla compagnia”, ripete Giorgetti. Ma al 1° luglio mancano cinquanta giorni, e l’intesa con Bruxelles è ancora lontana. E le parole di Salvini, appunto, lo dimostrano. “Su Alitalia l’Ue si faccia gli affari suoi”, sentenzia il segretario della Lega.

 

A fidarsi di quel che Lazzerini confessa in privato, una rotta già c’è. E punta verso Berlino. “I contatti coi tedeschi ci sono e solo solidi”, sussurra ai parlamentari che lo interpellano. E del resto, nelle slide illustrate ai senatori la scorsa settimana, non era stato  elusivo. “Le alleanze sono centrali per il successo del piano e la sostenibilità di Ita, che ha già avviato interlocuzioni sia con Lufthansa che con Delta/Air France. Si tratterà - vi si legge - di alleanze inizialmente commerciali (...). Ma per raggiungere gli obiettivi di crescita, economie di scala, occupazione e sostenibilità del Piano sarà essenziale valutare alleanze che producano anche vantaggi industriali e operativi”. Il non detto, insomma, è che Ita non nasce per poter reggersi sulle sue sole ali. Ma dovrebbe nascere per risultare subito appetibile ai grandi vettori europei.

 

Anche perché è da lì, e cioè da un’intesa di massima con Berlino, che passa anche la via che porta a un minore rigore da parte della Commissione europea rispetto alla necessaria discontinuità richiesta nella transizione da Alitalia a Ita: dalla conservazione dello storico marchio al mantenimento degli slot, la risoluzione delle controversie sarebbe di certo più agevole se l’ipotesi di un’alleanza con Lufthansa diventasse concreta. “Però bisognerebbe smetterla con la tesi per cui ‘dobbiamo spezzare le reni all’Europa’”, si lamenta Antonio Misiani, responsabile economico del Pd. Una retorica che, certo, per Salvini sarà difficile abbandonare, dopo che per anni ha tuonato contro la “svendita ai tedeschi della nostra compagnia di bandiera”. Tanto più che, tra i molti superabili, c’è sicuramente un nodo che pare invece ineludibile: gli esuberi. Almeno 5 mila dipendenti andranno messi in mobilità. E avallare un simile disegno, a ridosso delle elezioni a Roma e con Giorgia Meloni che martella senza sosta sulla tutela dei lavoratori, per Salvini è complicato. Anche perché la buona parte dei suoi colonnelli laziali viene proprio da quel sindacato, l’Ugl, sempre in prima fila nelle proteste sotto le finestre del Mise. E del resto, quando il sottosegretario all’Economia del Carroccio, Claudio Durigon, viene interpellato sul tema di Alitalia, pare che ai suoi vecchi amici del sindacato usi una punta di malizia nel dire, semplicemente: “Di questo parlatene con Giorgetti”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.