L'intervista

"I miei schiavettoni. Davigo? Io lo conosco bene". Parla Enzo Carra

Il protagonista dell'arresto più celebre di Mani pulite

Carmelo Caruso

L'arresto con gli schiavettoni in diretta televisiva, le accuse sillogismo del pool di Mani pulite: "Non cercavano la verità ma la loro verità". La requisitoria di Piercamillo Davigo oggi coinvolto nel caso Amara. Intervista a Enzo Carra, trent'anni dopo

È morto nella notte a Roma Enzo Carra, giornalista, portavoce della Dc tra il 1989 e il 1992, poi deputato prima della Margherita e poi del Pd. Era ricoverato da una settimana nel reparto di terapia intensiva del Policlinico Gemelli a causa di una crisi respiratoria. Avrebbe compiuto 80 anni il prossimo 8 agosto. Al Foglio aveva raccontato del suo arresto nell'ambito di Mani pulite, della fede nella giustizia e del suo rapporto con Piercamillo Davigo in un'intervista che qui ripubblichiamo integralmente. 


 

Ha mai pensato di chiederli indietro? “Intende gli schiavettoni? Non ci ho mai pensato. Sono proprietà dello stato. Dice che potrei farci qualcosa?”. Nel museo della giustizia malandata, una stanza non dovrebbe  essere dedicata alle sue manette? “In quella stanza potremmo aggiungere un borsone. E poi un maglione scuro. Un paio di pantaloni scuciti. Era tutto quello che avevo il giorno dell’ arresto. 4 marzo 1993”. Chi era Carra? “Un giornalista. Capo ufficio stampa della Dc. Quello che si diceva un uomo specchiato. Incensurato. Ero questo”. Ha mai capito chi ordinò di metterle gli schiavettoni ai polsi? “Arrivò una telefonata. Diciamo dai piani alti. Era il pool di Mani pulite”. Come si chiamava l’uomo che l’ha accusata? “Graziano Moro, un Piero Amara dell’epoca. Un faccendiere. Per dimostrare che fosse credibile lui dovevano dimostrare che fossi colpevole io. Si parlava di una tangente da cinque miliardi di lire. La madre delle tangenti”. La requisitoria d’accusa chi la tenne? “Piercamillo Davigo”. Si concludeva così: “Carra è persona estranea a eventuali reati. Come tale è persona informata dei fatti e ha l’obbligo di dire la verità”. E lei l’ha detta? “Certo. Ma non era la loro verità. Io Davigo lo conosco bene”. Molti oggi sostengono che con l’arresto di Carra  inizia la nostra età del  “terrore”. Le monetine lanciate, il cappio esibito in parlamento, l’abuso della carcerazione preventiva come strumento di indagine. Crede pure lei che sia cominciato tutto quel giorno? “Con il mio arresto si è realizzato il sogno di Pasolini. Un grande processo al Palazzo”. 

 

Credo tuttavia che Mani pulite inizia a finire con quegli schiavettoni”. Ci furono intellettuali che parlarono di sproporzione? “Nessuno.  Quelli che c’erano stavano con loro. Con i pm”. Carra ha oggi 78 anni. Quando venne arrestato suo figlio ne aveva dieci. “A scuola lo additarono come il figlio di un ladro. Si è ripreso meno bene di me”. Sua moglie? “La chiamò un maresciallo, una persona perbene. Tardi. Aveva già visto tutto in televisione”. I suoi giorni in carcere? “27. Per mesi, ogni mattina, trovavo la mia automobile marchiata dalla frase: ‘I ladri devono finire in galera’. Oltre l’avvocato anche il carrozziere ho pagato”. Davigo cosa disse di quegli schiavettoni? “Ha sempre spiegato che l’ordine non era stato il suo. Ai giornalisti di quel tempo consigliava di non personalizzare. La sua tesi era: perché per  Carra tutto questo rumore e  per un uomo di colore nulla? Con Davigo bisogna fare attenzione. Non si deve parlare male di lui, ma neppure bene. Potrebbe querelare perché si sentirebbe irriso”.

 

Lo teme ancora? “Non voglio passare gli ultimi anni di vita a difendermi da Davigo. Mi limito a ricordare quello che diceva. Questo: ‘Fino a che punto il potere è legittimato quando gli ordini che impartisce creano crisi di coscienza a chi li deve eseguire? L’anomalia non sta nella giustizia ma nella politica'. Mi basterebbe che riconoscesse che l’anomalia oggi è la magistratura”. Le capita di vederlo ospite in televisione? “Mi capita e penso, e lo dico davvero, che è un uomo che sta soffrendo. Si difende così: ‘Di questo non parlo’. Come sarebbe bello se un giornalista gli replicasse: ‘Benissimo, torni quando ha voglia di parlarne’. Io vorrei sapere, ad esempio, perché ha consegnato il plico solo a un componente del Csm. Se fossi un membro del Csm, mi sentirei offeso”. E’ credibile quando dice di non sapere cosa facesse la sua segretaria? “Il suo collega Di Pietro sosteneva che io non potevo non sapere perché arriva il momento in cui si va al cesso e al cesso si fanno certe confidenze. Da quel che so, le stanze del Csm sono strette”. Ha più paura della magistratura di adesso o di quella che ha mandato in carcere Carra? “Io non ho paura della giustizia. E’ come la Chiesa. Non è più quella di una volta, ma non smetto di crederci”.


 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio