Mantenere l'onore politico
Le Liz Cheney che mancano all'Italia
Le conversioni populiste sarebbero credibili solo con una Liz Meloni
Liz Cheney è stata fatta fuori dai trumpiani, era la numero tre del Partito repubblicano ma aveva votato per l’impeachment dell’ex presidente che non accettava il risultato elettorale, incitando alla rivolta contro le istituzioni, e continuava a sostenere che occorreva restituire l’onore politico al conservatorismo americano dopo lo squallore sedizioso del 6 gennaio con l’assalto al Congresso di Washington. Liz è figlia di Dick Cheney, politico e businessman di lungo corso, già segretario alla Difesa e poi vicepresidente cruciale dopo l’11 settembre, suo mentore. “Angler” fu definito Cheney, ritratto da Barton Gellman del Washington Post, con un termine praticamente intraducibile che va da pescatore con la lenza a pietra di paragone e metro di misura di ogni costruzione, ombra o imbroglio possibile.
Cheney è stato l’uomo nero per la sinistra costituzionale dei democratici americani per anni, gli si è imputato il Patriot Act, fu reso responsabile della guerra in Iraq di George W. Bush, volevano processarlo per i protocolli che permisero gli interrogatori duri, durissimi, dopo il bombardamento terroristico di New York e di Washington, e per Guantanamo, il carcere duro extraterritoriale che poi fu Obama il primo a non chiudere nonostante le promesse elettorali. Cheney era lo scudo politico con Rumsfeld del progetto “neoimperiale” e unilateralista dei neoconservatori. Eppure, a proposito di sdoganamenti, la figlia Liz è emersa sotto il suo patrocinio, fu eletta con Trump nel 2016 in Wyoming, ha votato per l’80 per cento con l’Arancione, ma non ha spinto il suo lealismo fino al punto di accettare e subire la sua resistenza al verdetto degli elettori nel 2020. Anzi, la sua è stata una opposizione adamantina alla deriva finale, coerente e irriducibile.
Personalità simili sono rare in generale, perché fissare una linea rossa oltre la quale il coinvolgimento in un’avventura politica estrema diventa complicità, e mantenere il punto con dignità, non è un tratto diffuso. Nella destra europea, specie francese e italiana, nella sua corsa a rimpannucciarsi dopo i deliri dell’antieuropeismo e le mattane xenofobe e razziste, mancano analoghe figure di testimonianza.
E per la verità, come ha ricordato Panebianco, anche alla sinistra e al centrosinistra mancano capacità di revisione critica del passato quando esso sia stato tutto vissuto nel segno del fanatismo e dell’estremismo ideologico. Liz Cheney ha fatto pratica nell’amministrazione del padre, un grande uomo di stato che verrà ancora studiato per anni, ha studiato a Chicago e in politica ha abbracciato la causa repubblicana anche sotto Trump, che conquistò e deviò le sorti del partito nella sua fenomenale ascesa e caduta, ma non ha mai portato il cervello all’ammasso.
È stata colpita perché è la dimostrazione che anche in circostanze belluine si può mantenere la dignità personale, insieme appunto con l’onore politico. Qui invece ci si trasfigura a buon prezzo, fenomeno parallelo alla rinominazione del Front national di Marine Le Pen, e ci si ritrova europeisti, draghiani, fautori dell’unità nazionale senza che alcuno si senta di testimoniare contro la follia e gli eccessi di un recentissimo passato. Fino al paradosso un po’ ubriaco di Meloni, che ha deciso nella sua autobiografia di consacrare la sua paura di annegare, un incubo, riservata solo a sé stessa e non ai barconi da affondare, come diceva una volta. Fidarsi è bene, ma se ci fosse una Liz Meloni, sarebbe meno difficile.